Valduga guarda alle provinciali «Con il Pd alleanza ripetibile»
«Di solito il sindaco uscente non è mai avvantaggiato. Di sicuro non a Rovereto». Francesco Valduga, soddisfatto per la sua rielezione a sindaco dopo cinque anni di amministrazione, si toglie anche qualche sassolino dalla scarpa: «Il mio sfidante Zambelli ha chiesto alla città di scegliere tra lui e me, e la città ha scelto me».
Era in netto vantaggio al primo turno, un vantaggio mantenuto e addirittura aumentato nel secondo turno. Era scontato?
«Ero consapevole che il ballottaggio non fosse una specie di secondo round ma una nuova partita da giocare fino in fondo. E l’ho giocata, l’abbiamo giocata anche come squadra, consolidando la fiducia che gli elettori ci hanno accordato al primo turno e riuscendo anche a convincere elettori che in un primo momento avevano deciso di puntare su altri candidati alla carica di sindaco».
Come ha fatto a convincerli?
«Abbiamo spiegato alla città che era importante proseguire con il lavoro fatto fin qui, portando a frutto i progetti già ideati, in parte avviati. Abbiamo ripreso il dialogo sul territorio, circoscrizione per circoscrizione, ribadendo gli impegni chiari sui temi che ai roveretani stanno particolarmente a cuore, compreso il no all’uscita a sud della Valdastico».
Cos’ha sbagliato il suo avversario Andrea Zambelli?
«Diciamo che non lo hanno aiutato quelli dei video su Facebook, i leoni da tastiera e coloro che hanno alzato i toni. Parlare male del sindaco uscente va anche bene: hanno parlato di consorterie, di clientelismo... Ma parlare male della città, descriverla come ferma, in declino, addirittura un non-luogo, significa fare del male a Rovereto, e i roveretani a quanto pare non hanno gradito».
Il centrodestra era per il cambiamento, lei per la continuità. Ma qualcosa cambia anche nella sua prossima giunta: dovrà governare con il Pd, prima all’opposizione.
«L’area riformista con quella popolare e autonomista a Rovereto hanno già lavorato assieme, e bene. Queste sono forze che hanno la maggioranza a Rovereto ma che ce l’hanno anche in tutto il territorio provinciale».
Sta pensando forse che il modello Rovereto sia esportabile anche per le prossime elezioni provinciali del 2023?
«L’autonomia si origina dai territori, dentro una rete di esperienze che in molti casi sono simili a quella di Rovereto. Esperienze che possono, questo sì, porre le basi di un ragionamento per le prossime elezioni provinciali. L’ho detto nei giorni scorsi anche a questo giornale: se troviamo i giusti contenitori, l’insieme di queste forze popolari, riformiste e autonomiste, espressione del territorio, sono vincenti in tutto il Trentino».
Al nostro giornale aveva anche detto, alla vigilia delle elezioni provinciali del 2018, che il mondo civico non poteva unirsi ai partiti nazionali. Come il Pd, che ora è con lei. Cos’è cambiato?
«Non ho mai detto che il problema è l’alternativa al partito nazionale. Ho detto invece che il civismo è un mezzo e non un fine che deve sapersi evolvere in un progetto politico. Non parlo di alternativa ai partiti, ma mi auguro che i partiti, anche spinti dal civismo, sappiano essere luogo di confronto sul territorio, espressione del territorio».
Ma il suo civismo pare perdere consensi. Non è più la maggiore forza nella sua giunta.
«La nostra coalizione è ben bilanciata: la componente civica e popolare rappresenta il 22% e se sommiamo Futura che non ha derivazioni nazionali si arriva al 26% di quel quasi 50% del primo turno».
Ma Futura, con il Pd, sposta tutto a sinistra.
«Questa presenza ci permetterà di puntare ancora di più sulle risposte alle istanze dei più deboli, nella costruzione di una Rovereto ancora più inclusiva. Ma ripeto, la coalizione è bilanciata: c’è un’area riformista, una popolare, una autonomista e un’area più liberal, che in passato è stata anche vicina al centrodestra ma che nulla ha a che vedere con la destra sovranista e populista. Questa è la mia squadra».
L’area riformista con quella popolare e autonomista a Rovereto hanno già lavorato. Ma insieme possono vincere ovunque
Le mie civiche perdono consenso? Arrivano al 22% ma all’interno di una coalizione bilanciata. Troppo a sinistra? No