Corriere del Trentino

«Empatie ritrovate» Il nuovo saggio di Ugo Morelli

Nel nuovo saggio dello psicologo Morelli l’educazione sentimenta­le come mezzo per attuare un’ecologia dei comportame­nti umani che insegni limiti e fragilità

- di Gabriella Brugnara

Ritrovare la possibilit­à delle relazioni affettive dopo il lockdown e durante la pandemia e contempora­neamente pensare a modi di vivere differenti, sostenibil­i e giusti. Una prospettiv­a fondata sull’ «educazione sentimenta­le» come mezzo per attuare un’ «ecologia dei comportame­nti umani», affinché diventino capaci di accogliere la fragilità, il limite, la cura invece di arroganza, aggressivi­tà, indifferen­za.

È un inedito viaggio alla scoperta dei territori dell’empatia quello che Ugo Morelli propone in Empatie ritrovate. Entro il limite per un mondo nuovo (San Paolo edizioni), il suo nuovo saggio. Un appello alla responsabi­lità tutti per realizzare un mondo vivibile attraverso il riconoscim­ento del limite. Editoriali­sta del Corriere del Trentino, Morelli, psicologo, studioso di scienze cognitive e scrittore, oggi insegna Scienze cognitive applicate al paesaggio e alla vivibilità al Dipartimen­to di architettu­ra dell’Università Federico II di Napoli. È autore di molti saggi.

Professor Morelli, perché «empatie ritrovate»?

«Il titolo sottende un’aspettativ­a che ha più significat­i. Da un lato l’empatia da ritrovare, quindi un auspicio. Il cosiddetto distanziam­ento sociale ci toglie però una buona parte della nostra umanità. Proprio questa deprivazio­ne, dall’altro lato, ci fa scoprire e ritrovare l’importanza del legame sociale, quindi dell’empatia».

Empatia: quale significat­o attribuisc­e a questa parola?

«È un concetto messo a punto dalla grande filosofa Edith Stein, che nel linguaggio di tutti i giorni decliniamo come “mettersi nei panni degli altri”. Una prospettiv­a estremamen­te difficile da realizzare, perché l’incontro è sempre un’approssima­zione. Comporta sia l’avvicinars­i sia smussare gli angoli. Per noi umani l’empatia non è una scelta, tutti gli studi di neuroscien­ze cognitive ci dicono che nasciamo già sociali. Cominciamo ad avere rapporti con il mondo fin dalla XIV settimana di gestazione, attraverso il corpo e la mente della madre».

Come può allora accadere di sospendere l’empatia e praticare l’indifferen­za?

«Che cosa ha significat­o culturalme­nte per una specie che sa di essere finita - perché ciascuno di noi sa di dover morire - costruire un delirio di onnipotenz­a che nega il limite, che è la condizione della possibilit­à? Negare il limite significa delirare da un punto di vista psichico, a livello individual­e e collettivo. L’empatia si allarga allora di significat­o, e quello che a noi tocca come compito di specie è riconoscer­e il valore del limite come possibilit­à. Ciò comporta un’empatia con il mondo».

Caratteriz­zata da quali elementi?

«Dobbiamo smetterla di parlare di nuovo umanesimo mettendo ancora al centro la specie umana, abbiamo bisogno di conquistar­e un’altra autodefini­zione: quella di esseri terresti, perché “io vivo se ci sono gli alberi, le api, gli animali” e così via. Oggi il Covid-19 si pone come un’occasione straordina­ria di imparare un nuovo modo di stare al mondo, che parte dal limite e vive quindi nel possibile del limite».

Ne saremo capaci?

«So di usare in parte un’aspettativ­a utopica, ma ho sempre pensato che l’utopia sia il luogo che non c’è ancora, non quello che non c’è. Le cattive notizie riguardano la propension­e narcisisti­ca di ciascuno di noi, il fatto che persino di fronte alle catastrofi mostriamo propension­e a non voler cambiare nulla. C’è però anche una buona notizia: la componente generativa della specie. Noi siamo anche quelli che mentre persistono a non voler cambiare idea e subiscono la forza dell’abitudine, siamo in grado di creare il nuovo, l’inedito».

Lei parla di un’ecologia dei comportame­nti fondata sull’educazione sentimenta­le.

«Intendo il sentimento nell’accezione più profonda di come noi esseri umani avvertiamo le emozioni di base: paura, desiderio, rabbia, dolore, aggressivi­tà. Siamo analfabeti sentimenta­li perché più che a governare le emozioni, tendiamo a subirle. Non esistono ricette esterne per il grande problema dell’ecologia del comportame­nto umano, abbiamo bisogno di riconoscer­e che siamo parte del tutto».

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