Erdemolo, mondo sotterraneo tutto da scoprire Miniere
In valle dei Mocheni è possibile rivivere l’esperienza dei canòpi
Dentro la miniera dell’Erdemolo, un mondo. Ci si muove con la testa china. Si abbassano le ginocchia. Si prendono le misure sui cunicoli di ingresso e di passaggio. Temperatura costante, 4 gradi, e umidità al 95%.
Le cavità, di memoria medievale, furono scavate tra il 1400 e il 1650. Qui, in cima alla Valle dei Mocheni, oltre Palù del Fersina, lungo la strada che porta al frequentatissimo lago di Erdemolo, i minatori procedevano dall’alto verso il basso, facendosi strada con il piccone alla ricerca della calcopirite. Durante l’avanzamento, le gallerie venivano puntellate con il legno. Alcune travi sono state sostituite durante i lavori di ripristino, che hanno reso questo sito visitabile. Altre, invece, sono quelle di un tempo. Hanno 500 anni.
I canòpi — vale a dire i minatori — indossavano grembiuli di cuoio, sui quali sedevano mentre scavavano verso il basso. Poi, quando tornavano in superficie, indossavano la gerla con il carico di minerale. Nei pressi della galleria, la roccia veniva sminuzzata, lavorata e «arrostita». Poi veniva portata più a valle, verso il paese di Palù, e lungo le sponde del torrente Fersina, per essere lavorata nei forni fusori. Così, trasformata in rame, giungeva a Pergine Valsugana, dove prendeva le vie del commercio.
Per rivivere l’esperienza dei minatori di un tempo, le guide didattiche del Museo mineralogico di Palù del Fersina sono a disposizione, su prenotazione, muovendo dalle sale espositive del Museo, che raccontano la storia mineraria della vallata: l’insediamento dei primi canòpi, i rapporti che avevano con la comunità locale e con i contadini di montagna, l’affermazione di un nuovo sistema di sviluppo economico basato sullo sfruttamento delle risorse minerarie.
Il caso della Valle dei Mocheni si inserisce storicamente in un distretto minerario molto più vasto, quello della Valsugana. «L’attività mineraria in Valsugana — spiega Katia Lenzi — rivestì in passato un importante significato economico. Tra le realtà più conosciute spicca la miniera di Calceranica, che, estesa tra l’omonimo paese e l’abitato di
Vattaro, fu coltivata almeno dal XVI secolo. Utilizzata anche in epoche successive, venne sfruttata a livello industriale per l’estrazione della pirite dalla Montecatini Spa fino al 1964».
Trentina, studiosa, di formazione archeologa e specializzata nelle età tardoantica e medievale, Katia ci guida in un percorso molto variegato attraverso le principali aree minerarie della zona, abbracciando con uno sguardo di insieme tutto il distretto storico. «Oltre al sito di Calceranica — continua — altre aree estrattive giocarono un ruolo importante. La miniera di Vignola, interessata da una prima attività già nel XV secolo, si sviluppava su otto livelli per tre chilometri di lunghezza. Fu coltivata intensamente anche in epoche recenti, dagli anni Cinquanta agli anni Settanta del secolo scorso, dalle Mineraria Trentina Spa e Prealpina Spa, prima per l’estrazione della fluorite e poi della barite. Nelle vicinanze di Falesina era invece presente la miniera di quarzo detta “del Rap”, anch’essa attiva fino alla seconda metà del secolo scorso. Nella porzione più occidentale della dorsale della Panarotta, sulla sommità del monte Orno, si conservano le tracce di un esteso complesso minerario, frutto di attività di epoche diverse, ma caratterizzato nelle sue fasi più recenti dalla ricerca di fluorite e quarzo. Le vicine miniere di Viarago, per lo più di limitata estensione, furono interessate dall’attività estrattiva fino agli anni Quaranta, quando, nei filoni detti di Fontanelle e di Paolo, si ebbe principalmente coltivazione di blenda, galena e pirite. Per quanto riguarda le cave di porfido in Alta Valsugana, il loro sfruttamento sistematico iniziò negli anni Venti. Per esempio, l’area di San Mauro, a Baselga di Pinè, vide in quegli anni l’apertura di nuovi siti estrattivi per la produzione di cubetti e piastrelle. Fu solo all’inizio degli anni Sessanta che la realizzazione di una strada carrabile incentivò un certo ammodernamento nelle fasi di lavorazione, con l’eliminazione dei carrelli su rotaia e delle teleferiche per il trasporto del materiale, sostituiti da pale meccaniche e camion. Se a Fornace e Albiano il settore estrattivo seguì uno sviluppo simile a quello del Pinetano, le cave di Costalta ebbero invece vita breve: quella sul versante verso Baselga di Pinè venne aperta nel 1953 e cessò l’attività nel 1962 mentre, quella sul versante verso Sant’Orsola Terme funzionò fino al 1958. Infine, anche la valle dei Mocheni fu interessata recentemente da attività estrattive, con la coltivazione della fluorite presso le miniere di Fierozzo e della Tingherla di Frassilongo, durante gli anni Sessanta».
Nel corso dei suoi studi, Katia Lenzi ha utilizzato non soltanto le fonti ufficiali della storia, documenti e iconografia, ma anche la memorialistica. La sua attenzione si è rivolta a questo tipo di materiali — la viva voce dei testimoni — per valorizzare la storia estrattiva del Novecento nei territori dell’Alta Valsugana, della Valle dei Mocheni e anche del Monte Calisio.
Il progetto al quale ha lavorato, dal titolo «Quando andavamo in miniera. Immagini e voci dei paesaggi minerari storici della Comunità Alta Valsugana e Bersntol», è nato con «l’obbiettivo — sottolinea l’archeologa — di trasmettere alla comunità il ricordo di un mondo di conoscenza dei luoghi e dei saperi che si sta perdendo, con la scomparsa dei suoi protagonisti e dei suoi portatori di memoria». Il lavoro ha raccolto circa 800 fotografie e oltre 80 interviste, visibili sul canale youtube «Racconti di miniere e cave Alta Valsugana e Calisio».
Katia Lenzi L’attività mineraria in Valsugana ha avuto un importante significato
Spiccano le realtà di Calceranica ma anche quelle di Vignola e di Viarago