Il mondo di Harmann «Esclusione e soprusi»
Ayman Ghezbouri, di Riva, debutta con il suo primo singolo Atlantide
Usa il rap contro i pregiudizi. Ayman Ghezbouri, in arte Harmann, rivano, lancia il suo primo singolo Atlantide.
TRENTO Nato a Riva del Garda nel febbraio 2002, Ayman Ghezbouri, in arte Harmann, è un italiano figlio dell’immigrazione, una seconda generazione. La sua passione per la musica lo ha portato a rappare della sua vita fatta di sofferenze e difficoltà causate dal suo essere italiano a metà. Nasce così «Atlantide», il suo singolo di debutto che verrà rilasciato il 16 ottobre sui digital store di musica tra i quali Spotify, Youtube ed Apple Music.
«Mia madre è originaria di Casablanca, invece mio padre è di Agadir — spiega Harmann —. Sono venuti in Italia perché volevano offrire a me e ai miei fratelli una vita migliore di quella che si potevamo avere in Marocco ma in Italia per noi, purtroppo, i problemi ci sono comunque». Il rapper allude ai pregiudizi e agli episodi di razzismo dei quali è stato vittima durante la sua adolescenza. «Vivere da figlio di marocchini nel rione Degasperi, definito il Bronx di Riva, ti stampa un’etichetta in fronte che non ti scolli più». Harmann racconta delle continue discriminazioni subite a causa delle sue origini, soprattutto nel periodo in cui andava a scuola e racconta di soprusi avvenuti anche per mano delle forze dell’ordine che in più di un’occasione — secondo la sua versione — lo avrebbero perquisito spogliandolo alla luce del giorno per accertarsi che non trasportasse sostanze stupefacenti «a volte, precisa, mi facevano piegare sulle gambe in modalità squat, per controllare che non nascondessi nulla all’interno del corpo». Un atteggiamento che l’artista definisce
Le origini I miei genitori sono venuti in Italia per offrirci una vita migliore. Ma qui i problemi li abbiamo trovati comunque La musica Ho sentito il bisogno di denunciare ciò che mi stava succedendo perché queste cose possono colpire tutti
«bullismo» a tutti gli effetti e che non si può ritenere un caso isolato, poiché, «scene di questo genere, continua, si ripetono spesso proprio prendendo di mira soggetti provenienti da quel particolare quartiere popolare».
Harmann non nasconde il suo passato fatto di qualche ragazzata di troppo e racconta di essere stato processato nel 2016, all’età di appena 14 anni, a seguito di un blitz antidroga, processo dal quale uscì poi assolto. Il cantante precisa che la difficoltà nell’inserirsi nella società, praticamente un’emarginazione forzata, ha provocato in lui una sorta di ribellione, infatti egli stesso ritiene che nessuno nasca in mezzo alla strada. «Il mio — afferma Harmann — è stato un atteggiamento che ho adottato in risposta alle circostanze di intolleranza. In quel periodo non mi interessava nulla. Avevo perso ogni tipo di positività. Pensavo solo a sfondarmi, a come fare soldi, a spegnere il cervello per non pensare. L’unica cosa che mi ha limitato, tenendomi a bada, è stato il rispetto che tuttora provo nei confronti dei miei genitori». La madre è una colonna portante nella vita di Harmann e il rapper non manca di renderle omaggio in «Atlantide», ricordando come la preoccupazione di non sapere se il proprio figlio sarebbe mai tornato a casa fosse all’ordine del giorno. La madre è anche colei che supporta orgogliosamente l’artista nel suo percorso musicale, mentre il padre, confida Harmann «crede che quello che faccia siano cretinate» ma questo non lo fermerà.
Attraverso la musica, quindi, Harmann non solo svela la sua vita ma tratta di temi sociali molto attuali, di paure e di problematiche che sono comuni a quella fascia di popolazione che non è né carne né pesce. La metafora dell’isola leggendaria di Platone sommersa dall’acqua richiama una vita fatta di battaglie che partono dai bassifondi e continuano, come dice la canzone, «contro le rapide», ovvero, la discriminazione ed i pregiudizi. Non a caso il brano si apre con le parole di Giorgio di Folco, che, durante una diretta video, negava l’esistenza di italiani di colore. Harmann ha voluto ricordare, attraverso questo intro, la triste vicenda di Willy Monteiro Duarte, perché «questi sono problemi — afferma l’artista — che possono colpire ognuno di noi e ho sentito il bisogno di denunciarli, di iniziare a parlare». Attraverso le rime, il cantante vuole «suscitare empatia» nel pubblico affinché quest’ultimo capisca «cosa significhi essere figlio di immigrati» sperando in un cambiamento radicale della concezione stereotipata dello straniero. Il brano fa parte del progetto CVLTO, un’etichetta musicale indipendente fondata da Kristian Cekaj, un imprenditore italo-albanese trentino, anche lui figlio di immigrati, che da qualche mese ha deciso di dare voce ad artisti emergenti che vogliono esprimersi e raccontare le loro vite. L’utilizzo di più lingue, tra le quali l’arabo, caratterizza la produzione musicale di Harmann che spera di continuare a mettere in risalto la molteplicità delle sue identità proprio attraverso le parole in lingua d’origine. Inizia così il sogno di Ayman.