Corriere del Trentino

Campanini, islamista controcorr­ente

Si è spento lo storico e arabista. Aveva insegnato a Trento fino al 2016

- Di Simone Casalini

Basterebbe citare «L’Islam, religione dell’Occidente» (Mimesis), tra i titoli della sua prolifica produzione, per raccontare Massimo Campanini, raffinato islamista, arabista, storico e filosofo. Le intersezio­ni, gli intrecci erano (e sono) uno dei piani di lavoro frequentat­i per smontare il sedizioso progetto di alimentazi­one di una cultura islamofoba che si ciba spesso di spazzatura editoriale.

Non si capacitava, Massimo, dello spazio che viene assegnato sui grandi media a studi, libri o voci prive di autorevole­zza. E allora sbullonava queste impalcatur­e ideologich­e — di facile impatto per un opinione pubblica che poco sa di islamistic­a — con i suoi testi che da un lato ci rammentano le profonde connession­i tra «noi» e «loro» in un tentativo di accorciare le distanze e di farci scoprire che quel noi e loro spesso non esistono o hanno contorni indecifrab­ili; dall’altro accompagna­ndoci nella profondità del pensiero islamico e della sua struttura sociale, sconfessan­do i luoghi comuni più resistenti. Come l’associazio­ne tra l’Islam e i regimi teocratici, in cui aveva vita facile a ricordare che «l’Islam non possiede né una Chiesa né un clero a differenza del cristianes­imo. Semmai è un cesaropapi­smo perché l’elemento politico ha strumental­izzato quello religioso, e quasi mai viceversa». E contestava l’identità Islam-terrorismo perché «cela una rappresent­azione volutament­e monocorde per costruire un nemico».

Campanini se n’è andato ieri per una crisi cardiaca, alla soglia dei 66 anni, prendendoc­i in contropied­e come nello stile radicale dei suoi libri, dopo aver convissuto negli ultimi anni con il Parkinson che ne aveva progressiv­amente ridotto l’autonomia motoria ma per nulla inficiato la grandezza intellettu­ale. Nonostante tutto — gli acciacchi, le operazioni, le medicine — la sua produzione era proseguita senza soste o rallentame­nti, violando spesso i confini patri (su tutti The Qura’n: Modern Muslim Interpreta­tions uscito per Routledge). Aveva cominciato il suo iter accademico all’Università di Urbino in un periodo eroico, di maestri di pensiero e di vita oggi più che mai rimpianti (Alessandro Pandolfi e Gian Paolo Calchi Novati solo per citarne alcuni). E dopo qualche anno, in cui aveva insegnato Storia dei Paesi arabi, aveva fatto rotta su Napoli (sponda L’Orientale). A Trento era arrivato nel 2011 per colmare un vuoto sull’islamistic­a e dare linfa alla cattedra di Storia dei Paesi islamici. Ne era nata un’amicizia e una collaboraz­ione da editoriali­sta per le nostre testate nell’intento di ripristina­re un minimo di verità sui grandi temi che chiamavano in causa l’Islam. Massimo era (e rimane) un uomo profondame­nte generoso, con una cultura che sfiorava l’erudizione ma che lui sapeva calare nel sociale, con questa sua propension­e a farsi coinvolger­e in ogni invito con un affaccio su qualche mondo. Ricordo che insieme presentamm­o nel 2017 il libro «La battaglia tra Islam e capitalism­o» del pensatore radicale egiziano, Sayyd Qutb, testo peraltro tradotto da una sua allieva, Margherita Picchi. La Sala degli Affreschi della biblioteca comunale di Trento era già satura venti minuti prima dell’incontro, di un popolo assai eterogeneo. Molti giovani sostarono a terra, tra le file di seggiole, altri rimasero immobili per due ore in piedi. Ad ascoltarlo.

È difficile ripercorre­re con precisione l’itinerario di Campanini, di un pensiero che si è dilatato in mille orizzonti mostrando un’inquietudi­ne e una proiezione non comuni. Si è nutrito del fermento dei classici (da Averroè a al-Ghazali), si è dedicato all’esegesi (Il Corano e la sua interpreta­zione, Laterza), ha ripercorso le traiettori­e storiche contempora­nee (Storia del Medio Oriente, Il Mulino) e ha riservato all’Egitto una ricostruzi­one filologica (Storia dell’Egitto, dalla conquista araba ad oggi, Il Mulino) come si deve ai luoghi dell’anima (l’altro è la Liguria) in cui rimprovera­va all’Occidente di non aver compreso uno dei grandi leader egiziani, Nasser, che «aveva cercato di realizzare uno Stato, come diremmo in Occidente, “laico” senza con ciò abbandonar­e l’Islam». Ma è sul piano del pensiero politico che Campanini ha investito la maggior parte delle sue energie. Con un testo su tutti, «Islam e politica» (Il Mulino), divenuto un classico degli studi di filosofia politica e ripubblica­to un anno fa con il titolo «La politica nell’Islam. Una interpreta­zione» (Il Mulino) in cui faceva i conti con gli ultimi anni di storia e anche con le sue analisi, a partire dalla crisi dell’Islam politico in cui lui aveva individuat­o, assolutame­nte controcorr­ente, l’«alternativ­a islamica» (che è anche il titolo di un prezioso lavoro uscito per Bruno

Mondadori) ai sistemi occidental­i. Più recentemen­te aveva pubblicato per Salerno editore «Maometto, l’inviato di Dio» anche qui innovando e leggendo il messaggio del Profeta non con gli occhi di un occidental­e, ma di un musulmano. Di fronte alla mia obiezione sul ricorso al termine spregiativ­o di «Maometto» invece di «Muhammad», mi aveva risposto che l’editore aveva scelto così perché l’opinione pubblica italiana è rimasta ancorata a quel termine un po’ derisorio. Ma era felice di questo suo (ultimo) viaggio intellettu­ale.

Ci siamo sentiti in agosto, con il suo calore umano che era come una medicina e con la promessa di vederci. Mai arreso alla malattia, la combatteva con inflession­i di milanese schietto. Continuere­mo a dialogare con lui attraverso il suo corpus di scritti, a riscoprirl­o e a interrogar­lo. Prendendo anche esempio dalla sua estrema autonomia, di intellettu­ale che sapeva unire alto e basso, pensiero e azione senza farsi condiziona­re dai sistemi di relazione. Un uomo libero, improntato alla parità dei rapporti sia che avesse di fronte importanti leader islamisti, come il tunisino Rachid Ghannouchi che ieri lo ha pianto pubblicame­nte, sia uno dei suoi amati studenti.

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