La pandemia e l’eredità del telelavoro «Nuova cultura, procediamo per gradi»
Busato: spazi fisici e orari,è cambiato tutto. Giudiceandrea: ma la presenza conta
Da opzione accessoria a tassello indispensabile, frettolosamente arrangiato per far fronte a un’emergenza sanitaria diventata in poche settimane anche emergenza del mondo del lavoro, lo smart working sta percorrendo l’ultimo miglio prima di una sua alquanto probabile ristrutturazione. Nel frattempo, lo stato di emergenza che consente di facilitare il ricorso al lavoro agile è stato prorogato fino al 31 gennaio 2021. Ma il ragionamento sul tema guarda ben oltre l’orizzonte dell’anno solare. E le categorie si interrogano su come adeguarsi alla rivoluzione apportata dal lavoro da remoto.
Lo smart working – che da marzo a giugno, durante il lockdown, ha permesso a circa 8 milioni di italiani di lavorare da casa - dovrà necessariamente diventare «modalità strutturale» secondo Confindustria Trento. Anche se, puntualizza il presidente altoatesino di Assoimprenditori Federico Giudiceandrea, «non si può pensare di escludere il lavoro in presenza». In ogni caso, «si dovrà definire una nuova cultura del lavoro», spiega Roberto Busato, direttore degli industriali trentini. «Ci siamo resi conto che i due pilastri del mondo del lavoro sono crollati: non è più necessario lavorare in un luogo fisico e per le canoniche otto ore». La pandemia risulta quindi un’occasione «per riprogettare le relazioni contrattuali e la gestione del tempo e dello spazio». Così, lo smart working nel settore privato «dovrà procedere per obiettivi». Il lavoro agile non avrà bisogno di più controlli, ma piuttosto «dell’instaurazione di un rapporto di fiducia tra lavoratore e datore di lavoro», sintetizza il direttore di Confindustria.
Se il lavoro da remoto è il futuro, al tempo stesso non può dirsi l’unico scenario possibile. «Dovremo progettare sistemi ibridi, in grado di aumentare la produttività», nota il direttore di Confindustria. L’importanza del lavoro in presenza non va sottovalutata. «Il Coronavirus ci ha costretti ad accelerare l’evoluzione verso il lavoro da remoto, che presenta indubbi vantaggi – chiarisce il presidente di Assoimprenditori Alto Adige, Federico Giudiceandre ma lavorare in presenza ha un valore in più». Il tessuto economico dell’Alto Adige non potrà superare una certa soglia di telelavoro. «Le nostre imprese provengono principalmente dal manifatturiero. Non sarà per ragione della pandemia che il lavoro si sposterà dal luogo fisico dell’azienda. Semmai accadrà con l’aumento dell’automazione», aggiunge il presidente.
Nel dibattito sulla rivoluzione in atto sono però ricorrenti i concetti di «azienda diffusa» e di «ufficio virtua
le». Valutando gli effetti che avrà la pandemia sulla riprogettazione dei luoghi aziendali, Roberto Busato prevede che si andrà a superare il binomio lavoro-azienda fisica. «È tra le tematiche di cui iniziamo a parlare all’interno del coordinamento di imprenditori — avverte — Anche le stesse associazioni di categoria potrebbero, un giorno, organizzare postazioni condivise, spazi per raggruppare lavoratori di diverse realtà».
Resta da capire come le norme si adatteranno al nuovo ecosistema lavorativo de facto. «Servono nuove regole»: questo è un punto su cui gli imprenditori non arretrano. Il giro di boa è previsto il 31 gennaio. Chiusa la situazione di emergenza, occorrerà superare la legge 81 del 2017. «Dovremo progettare un accordo aziendale, in modo da poter presto includere lo smart working strutturalmente nei contratti di lavoro», nota Busato. Di ugual parere Giudiceandrea: «Dopo la fine dell’emergenza, la legislazione andrà rivista». Un punto su cui il ministero del lavoro è all’opera, per definire una riforma del lavoro agile.
I nodi ancora aperti su un lavoro da remoto — che molti considerano troppo poco «smart» — sono diversi. A partire da quelli in ambito giuslavoristico, come il tema della conciliazione del lavoro da remoto con i tempi di vita e il diritto alla disconnessione. Serve poi «un’infrastruttura tecnologica che regga».«Nonostante siano stati fatti importanti investimenti per dotare le aziende di programmi più rapidi, e anche gli strumenti messi in campo siano diversi, esistono criticità di connessione internet, che dipende dal luogo in cui è domiciliato il lavoratore», fa presente Busato. Ultimo, lo scoglio normativo che impedisce di lavorare da casa quando ci si trova in isolamento fiduciario o in quarantena perché positivi al Covid, pur in assenza di sintomi. Confindustria sollecita una soluzione per consentire anche a chi si trova in malattia di proseguire con il lavoro, mentre Giudiceandrea propone di «rivedere i protocolli, riducendo la durata della quarantena».
Intanto, il governo torna ad alzare le soglie di lavoratori da remoto a cui anche le aziende dovranno adeguarsi «Sulle indiscrezioni emerse in queste ore a proposito dell’intenzione del Governo di incentivare lo smart working portandolo al 70-75% per tutta la durata dello stato di emergenza, naturalmente nei casi in cui è compatibile con le mansioni svolte, il nostro parere non può che essere positivo, se si tratta di una misura necessaria ad assicurare adeguate condizioni di sicurezza e prevenire nuovi casi di contagio e, ancora peggio, nuovi focolai – osserva Busato - Quello che è sicuramente necessario per le nostre imprese è avere la possibilità di mantenere una parte delle attività nelle sedi di lavoro, per favorire tutte le occasioni di coordinamento che in presenza appaiono innegabilmente più fluide ed efficaci».