LA NOSTRA LOTTA AL COVID
Ci eravamo illusi. Nonostante ci avessero avvertito che in autunno, dopo la relativa tregua estiva favorita dal lungo tempo passato all’aria aperta, il virus sarebbe tornato a far danni, speravamo in un rapido ritorno alla normalità. E oggi, difronte al pericolo, ci dividiamo come sempre in tre fronti: chi nega il problema (rimosso perché si ritiene non esista o non ci riguardi direttamente); chi ne è sopraffatto e vorrebbe chiudere tutto a chiave; chi cerca a fatica una mediazione razionale affinché la vita continui, minimizzando il rischio a un livello accettabile. Quando usciamo di casa, sappiamo benissimo di poter essere travolti da un’automobile, eppure non rinunciamo alla passeggiata; non ci scandalizziamo tuttavia di non poter camminare lungo la A22 essendo vietato a tutela della sicurezza individuale e collettiva.È ovviamente lecito discutere di tutto, ma sarebbe bene tener presenti alcuni punti fermi. Il primo dei quali riguarda la libertà che ha sempre dei confini (come appunto quello che interessa i pedoni in autostrada) poiché i diritti riconosciuti a una persona non devono mai ledere gli altrui diritti.
Ecco perché è ragionevole arginare la movida dei giovani al fine di proteggere i nonni. Più saremo prudenti e meno saranno i vincoli cui dovremo sottostare: se non si fosse vista un’infinità di assembramenti con scarso uso di mascherine, probabilmente oggi non ci sarebbe l’obbligo di indossarla praticamente sempre. Molte obiezioni su singole situazioni sono condivisibili, però occorre ricordare che le norme non possono contemplare tutte le particolarità e pertanto fissano disposizioni generali. Ma se perfino i virologi si contraddicono, non è giusto che ognuno si comporti come meglio crede? No, perché alcune certezze ci sono: il Covid-19 è assai contagioso e si diffonde perlopiù attraverso bocca e naso; anche chi non ha sintomi può veicolare l’infezione; le conoscenze scientifiche riguardo al virus aumentano di giorno in giorno, ma rimangono parecchie lacune da colmare, dunque nel dubbio prevale giustamente il principio di maggior cautela. Con qualche rinuncia quasi sicuramente possiamo evitare misure drastiche che darebbero un ulteriore colpo all’economia oltre che alla vita sociale. A ben vedere, il nocciolo della questione è sempre la stessa, solo che oggi si pone in modo drammatico: il nostro ego smisurato — intendo sia quello dei singoli, sia quello della società umana, richiamati ieri dal presidente Mattarella — è in grado di accettare il concetto di limite? La risposta pare debba essere tristemente negativa se pensiamo all’ostinazione con cui rifiutiamo quanto è necessario per contrastare il cambiamento climatico, l’inquinamento atmosferico, l’aggressione al territorio perfino nelle sue zone più fragili. In tali casi abbiamo almeno la scusa di non vedere subito gli effetti di eventuali sacrifici, mentre il lockdown ci ha dimostrato che in poche settimane il virus si può arginare. Oggi sappiamo che perfino senza chiuderci tutti in casa, dunque con uno sforzo relativo, possiamo contenere la pandemia. A meno che rinunciare per qualche mese a stare ammassati con il bicchiere in mano per strada non sia davvero una mortificazione insuperabile e un sopruso autoritario inaccettabile.