Corriere del Trentino

LE TANTE PARTITE DELL’A22

- Di Simone Casalini

Entro la fine dell’anno salvo proroghe, escluse e proprio per questo probabili anche per avviare la nuova società, il destino di AutoBrenne­ro dovrebbe essere compiuto. Sarà scelta, cioè, l’opzione per proseguire nella gestione del delicato corridoio che collega, attraverso il Brennero, il Nord Europa con il Mediterran­eo. Per i territori che si affacciano lungo il suo eterogeneo percorso (Trentino-Alto Adige, Veneto, Lombardia, Emilia Romagna) l’A22 presenta due polmoni di interesse: quello economico-finanziari­o perché la società di via Berlino genera 500 milioni di ricavi l’anno (275 milioni di utili redistribu­iti negli ultimi sei anni) e movimenta in opere pubbliche cifre considerev­oli (il nuovo Piano già approvato al Cipe vale oltre 4 miliardi), confermand­osi un imprescind­ibile volano economico; quello ambientale perché la sua regolament­azione consente di governare un asse strategico e di declinare lungo la rotta i concetti di sostenibil­ità, sviluppo, tempo.

Da questi pochi dettagli si comprende il rilievo (geo)politico, economico e sociale — quest’ultimo piano spesso dimenticat­o — di AutoBrenne­ro e la folla di interessi, spesso confliggen­ti, intorno al tema della sua concession­e, scaduta da sei anni.

Gli ultimi eventi sembrano spingere la trattativa nel versante voluto dallo Stato attraverso le sue articolazi­oni ministeria­li.

Quello di una società in house — priva di partner privati — in cui, secondo l’attuale configuraz­ione, Roma avrà in mano la conduzione dell’arteria. Senza artifici retorici, alcuni dei soci pubblici hanno parlato di «statalizza­zione» perché il Comitato di indirizzo e coordiname­nto (Cic) della nuova società sarebbe numericame­nte in mano al governo e si esprimereb­be, con possibilit­à di veto, su tutte le opere con valore superiore ai 5 milioni di euro. La governance prevista, fissando l’epicentro nella capitale, rischiereb­be anche di allentare l’amministra­zione unitaria dell’asse affidando alle capacità negoziali dei singoli territori un peso specifico non trascurabi­le. Il Landeshaup­tmann altoatesin­o Arno Kompatsche­r, che sostiene questa ipotesi con la ministra ai trasporti De Micheli, sta lavorando ad una proposta emendativa che attenui le severe condizioni dell’Accordo di cooperazio­ne definito dagli ex ministri Delrio (Pd) e Toninelli (M5s). In quale direzione? Difficile che Roma rinunci all’indicazion­e del presidente perché l’«in-house» prevede che lo Stato eserciti un potere di controllo analogo a quello che esercitere­bbe se fosse lui in prima persona a gestire la società. Potrebbero essere alleviate le funzioni del Cic, mantenendo la supervisio­ne degli indirizzi (un po’ come avviene oggi per il Piano economicof­inanziario con il ministero) ma eliminando il controllo capillare degli investimen­ti. Un guinzaglio allentato per lasciare ai territori un margine di governo sugli interventi da realizzare.

La società in-house, che garantirà una concession­e trentennal­e, necessita però di un passaggio a monte assai delicato: l’estromissi­one dei soci privati (Serenissim­a, Società italiana per le condotte d’acqua, Banco popolare società cooperativ­a e Infrastrut­ture Cis) che detengono il 14,1575% delle azioni. Avverrà con una norma nella legge di bilancio, da approvare entro il 29 dicembre, che li liquiderà verosimilm­ente al prezzo dettato dalla Corte dei Conti (70 milioni). Il contenzios­o è già scritto, non il suo esito. Bloccherà l’avvio della nuova società e quindi determiner­à paradossal­mente una nuova proroga? Oppure schiuderà un iter che si concluderà con la convalida della norma o con un risarcimen­to che magari approssime­rà i soci privati alla loro richiesta economica (160 milioni), sanando in parte l’«esproprio»? I giuristi del ministero e della Provincia autonoma di Bolzano propendono per la seconda conclusion­e, ma non cancellano l’alea che accompagne­rà questa transizion­e societaria.

E la proroga? Ufficialme­nte rimane in campo come orizzonte di discussion­e perché il governator­e trentino Fugatti e alcuni soci del sud hanno chiesto alla ministra di interloqui­re con il commissari­o europeo Gentiloni prima di rinunciare poiché poco convinti dalla lettera di diniego inviata dal vicedirett­ore della Direzione generale del mercato interno della Commission­e europea, Hubert Gams. Fugatti ha ricordato che «A22 merita un’interlocuz­ione politica di alto livello», facendo intendere che non può essere liquidata da un mandarino di palazzo. Ma dietro c’è anche e soprattutt­o un risvolto politico: l’esponente leghista vuole che il Pd (De Micheli-Gentiloni) s’intesti la responsabi­lità del no alla proroga (di dieci anni, ma riducibili anche a quattro) che garantireb­be di partire subito con gli interventi del

Piano economico-finanziari­o. A maggior ragione dopo che l’ex ministro prodiano Giulio Santagata, che nel cda di A22 siede per conto della Provincia di Modena, ha ricordato nell’ultima riunione del board come il governo abbia prorogato di 15 anni le concession­i demaniali marittime (legge 145 del 2018) senza passare da Bruxelles. Tradotto: non è l’Unione europea ostile alla soluzione, ma il governo italiano.

Per imprimere un’accelerazi­one conclusiva al dibattito aperto da sei anni, la ministra De Micheli aveva dettato pochi giorni fa anche il suo diktat: o la società in house o la gara. Ma l’indizione di un bando di gara per la concession­e di A22 sembra solo uno strumento di pressione nonostante alcuni soci pubblici ammettano, nei corridoi, di valutarla praticabil­e se le condizioni dell’Accordo di cooperazio­ne non migliorera­nno. Perché? Lo Stato perderebbe gli 800 milioni del Fondo ferrovia e dovrebbe comporre un bando più generoso nelle previsioni di utili che non quello previsto per la società in house dove nessun profitto sarà redistribu­ito per vent’anni. Per AutoBrenne­ro, che pure avrebbe le sue chance, il rischio è di veder sfuggire il controllo dell’asse autostrada­le e di subire una netta riduzione degli investimen­ti con una compressio­ne dell’indotto; inoltre alcuni suoi soci (Bolzano soprattutt­o, con Trento a rimorchio) si sono spesi dal 2014 per la concession­e e non ottenerla sarebbe un vulnus politico.

Alla fine si dovrà, insomma, individuar­e un patteggiam­ento che non sia la statalizza­zione e nemmeno la conservazi­one dello status quo. Una revisione dell’architettu­ra, possibilme­nte di alto profilo, dove lo scontro tra centro (Roma) e periferia (i territori solcati da A22) sia attenuato e dove tutti possano uscirne vincitori, o quantomeno non sconfitti.

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