«Una scelta logica, i locali non sono un centro di contagio»
Lo chef stellato: no a lockdown ogni 4 mesi
«Icontagi? Non avvengono sicuramente al ristorante, in Trentino-Alto Adige siamo fortunati ad avere una classe politica che è intervenuta consentendoci di allungare gli orari di apertura». A dirlo è uno dei cuochi trentini più amati e conosciuti, Alfio Ghezzi, che dopo aver conquistato le due Stelle Michelin alla Locanda Margon della famiglia Lunelli ha deciso di avviare un progetto tutto suo negli spazi della caffetteria del Mart a Rovereto.
Ghezzi, i suoi colleghi delle altre regioni d’Italia la staranno invidiando non poco per la possibilità di tenere aperto il ristorante fino alle 22 e il bar fino alle 20, mentre loro devono chiudere alle 18.
«Sono molto solidale con colleghi e amici chef che si trovano così tanto penalizzati da questo nuovo dpcm. L’intervento tempestivo del nostro presidente della Provincia ci fa capire che siamo in una regione dove esiste un pensiero logico e dove vengono considerate sia le necessità di sconfiggere l’emergenza, sia quelle di sostenere l’economia. La questione è riuscire a risolvere la pandemia senza distruggere il tessuto economico e sociale di un territorio. Le attività dei luoghi che seguono le regole non va fermata, anche perché questa emergenza non finirà il
Siamo una regione dove c’è pensiero e dove si cerca di tenere insieme l’aspetto sanitario e quello economico
Politica e media alimentano un clima di incertezza. Non ci fa bene. Con l’ordinanza di Fugatti proseguiremo come prima
24 novembre, dobbiamo iniziare a convivere con questa situazione e, per farlo, certo non si può chiudere tutto ogni 4 mesi. Da ristoratore mi viene da pensare che non si sia lavorato cercando di attuare una politica mirata ai veri luoghi deputati al contagio. Si è generalizzato, facendo dei danni enormi».
I ristoranti, quindi, non sono i luoghi a rischio contagio secondo lei?
«Se il problema dei contagi, come dicono i virologi, sono i centri di aggregazione non credo proprio che questi siano rappresentati dai ristoranti: sono i trasporti, le metropolitane e i luoghi della movida. Possono valere le stesse regole per Rovereto e per Milano? Non credo proprio, visto che le abitudini sociali sono molto diverse e ci
sono evidenti differenze sostanziali». Cosa bisognerebbe fare quindi?
«A mio avviso ci dovrebbe essere un margine di manovra locale. Bisogna essere più sartoriali, andare a verificare di più ogni singola realtà. Mi aspettavo che venisse fatta un’azione più mirata, che
lasciasse spazio agli amministratori locali per interpretare le specificità del territorio che gestiscono». Che clima respira tra i suoi avventori?
«Lo stato d’animo che i media e la politica sta creando, di emergenza, incertezza e paura non fa bene a nessuno, non solo a noi ristoratori. Per quanto mi riguarda, ho aperto da un anno, questo è il secondo lockdown che vivo. È dura, abbiamo avuto molte disdette di eventi nelle ultime ore, ma guai mollare. È un peccato perché a ottobre, grazie al lavoro del Mart, del presidente Sgarbi e di Visit Rovereto, abbiamo vissuto un mese di grande afflusso turistico, in totale sicurezza. L’ordinanza di Fugatti ci fa tirare un sospiro di sollievo:
potendo chiudere alle 22, inizieremo il servizio del ristorante alle 19 senza dover modificare nulla del nostro menu e dell’esperienza che offriamo ai nostri clienti». Tornerà a spingere anche sul delivery?
«Da quando l’abbiamo introdotto non lo abbiamo mai sospeso, anche perché sono nate delle belle collaborazioni. Abbiamo iniziato a fare anche un po’ di take away e stavano funzionando bene anche le cene a domicilio, ma oggi che sono stati imposti grandi limiti anche tra le mura di casa, devo fermarmi a pensare a qualche nuova idea. In momenti come questi la creatività e la duttilità sono essenziali».