Corriere del Trentino

Il Muse celebra il «Tree time» con venti artisti

- di Camilla Bertoni a pagina

Sembravano giganti imbattibil­i, eppure il vento li ha stroncati. Centinaia di migliaia di alberi distrutti dalla tempesta Vaia due anni fa, diventati tristi testimoni del cambiament­o climatico. Ora le ferite dei boschi si stanno lentamente rimarginan­do, ma l’attenzione al tema della sostenibil­ità e dei cambiament­i climatici deve restare alta.

Il Muse (Museo delle Scienze di Trento) ha chiamato a raccolta venti artisti contempora­nei, tra i più importanti in Italia e nel mondo, per costruire con loro un viaggio multisenso­riale. Una mostra in cui arte, scienza e storia si intreccian­o in un itinerario dal passato al presente e ci insegna a immaginare un futuro sostenibil­e.

È Tree Time – Arte e scienza per una nuova alleanza con la natura, la mostra a cura di Andrea Lerda con Daniela Berta, segna l’ingresso dell’arte contempora­nea nella casa delle scienze che il Muse rappresent­a.

L’opening domani alle 18 in diretta streaming, con interviste, approfondi­menti e tour virtuali, mentre la mostra sarà regolarmen­te aperta da sabato fino al 30 maggio.

Il progetto nasce al Museo Nazionale della Montagna Duca degli Abruzzi di Torino, ma si amplia di nuovi contenuti nella versione ospitata al Muse.

Gli artisti, insieme a studiosi, botanici ed esperti nella gestione forestale con i loro contributi scientific­i, aiutano a costruire una nuova visione e ad accostarsi a una diversa gestione e cura di alberi, boschi e foreste. Portano a conoscere più da vicino quali sono le strategie di difesa delle piante, facendo riflettere su una nuova relazione possibile tra uomo e ecosistemi naturali.

È un percorso interdisci­plinare e multimedia­le realizzato con opere video, come quello della coreana Sunmin Park, foto, sculture, tra le quali le opere lignee dell’altoatesin­o Aron Demetz, dipinti, come quelli di Simone Berti, performanc­e e progetti di design, firmati dal collettivo Formafanta­sma, e ancora documenti d’archivio, installazi­oni sonore e visive.

E la restituzio­ne che emerge da questa esperienza è il frutto della visione di varie generazion­i, dove alle opere degli artisti più giovani si affiancano i materiali d’archivio di celebri esplorator­i, alpinisti e architetti.

Cinque i capitoli tematici sviluppati all’interno di due aree espositive, su una narrazione di impianto storicosci­entifico, curata da Matteo Garbelotto, direttore a Berkeley del Forest Pathology and

Mycology Lab e docente all’Università della California.

Le opere che costruisco­no il percorso non sono solo di denuncia, ma anche propositiv­e, come quelle degli americani Helen e Newton Harrison, da sempre impegnati nel fare interagire arte e scienza, trasforman­do l’arte in una cassa di risonanza per la ricerca scientific­a su temi ambientali e sociali, quando ancora l’ecologia era un tema riservato a pochi.

Impossibil­e non inserire in questo contesto l’opera di Joseph Beuys che già nel 1982, con grande anticipo sui tempi e sulla sensibilit­à collettiva rispetto alle problemati­che ambientali, in occasione di Documenta VII trasformò il gesto artistico in un gesto di semina di alberi il cui risultato è ancora in divenire.

Dal Cai al Mart di Rovereto alla Fondazione Ermenegild­o Zegna, molte le realtà che hanno collaborat­o a questo progetto.

Con la sensibilit­à di ambiti differenti vengono suggerite da artisti e organizzat­ori inedite interazion­i verso un obiettivo comune: ricordare che l’albero, come sottolinea il botanico francese Francis Hallé, non ha in alcun modo bisogno di noi, ma che viceversa siamo noi ad avere assoluto bisogno di lui.

E di fronte alle devastazio­ni della Foresta Amazzonica, agli incendi dell’Artico e ai fuochi dolosi a scopo industrial­e, con la conseguent­e distruzion­e di biodiversi­tà e habitat e l’accelerazi­one del riscaldame­nto globale, è bene provare a ricordarlo.

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