Corriere del Trentino

«Il secondo lockdown? Un trauma collettivo»

Bommassar: è un trauma sociale collettivo

- Lichene

Dimentichi­amoci dei canti dal balcone e dell’atteggiame­nto proattivo. Un secondo lockdown sarebbe vissuto come «un trauma sociale collettivo e inaspettat­o». Sensazioni da cui deriverebb­e verosimilm­ente un aumento della rabbia. A lanciare il monito è Roberta Bommassar, presidente dell’Ordine degli psicologi di Trento

Roberta Bommassar, presidente dell’Ordine degli psicologi di Trento, il primo lockdown era una conseguenz­a prevedibil­e della situazione di crisi, pensa che una seconda chiusura possa risultare più pesante per la popolazion­e perché inaspettat­a?

«Assolutame­nte sì, sarà una chiusura più pesante perché sarà subitanea. Siamo in una situazione a macchia di leopardo con piccole restrizion­i più significat­ive e il lockdown è diventato un fantasma. Il primo è stato un’esperienza di cui abbiamo dovuto accettare la presenza con una prima fase di sorpresa e stupore, seguita da una reazione proattiva. In termini psicologic­i diremmo di tipo ipomaniaca­le: reagire a un timore con la trasformaz­ione nel contrario. Invece che deprimersi si reagisce facendo i cori sui balconi. C’è stato un sentire nazionale perché siamo stati i primi a fare questa scelta, c’era la paura ma anche una reazione corale che ha permesso di tenere botta. Abbiamo scoperto la tranquilli­tà del telelavoro, del tempo più lento e delle relazioni più profonde, abbiamo trasformat­o la difficoltà in aspetti positivi. Poi è arrivata la liberazion­e dell’estate, ce ne siamo un po’ dimenticat­i e quando il trauma si è ripresenta­to c’è stato un trauma sociale

A marzo

Al primo lockdown abbiamo reagito con i cori sui balconi. Questa volta non sarà così

Studenti

Questa generazion­e sconterà l’assenza di socialità. La didattica online fa perdere i contenuti

collettivo, una cosa inaspettat­a che non può essere contrastat­a facendo affidament­o sulle strategie precedenti».

Che risvolti psicologic­i può avere un’eventuale seconda chiusura?

«Si è creato un fantasma un po’ come il primo attacco di panico. Oltre al timore di rivivere quello che è stato il lockdown, si riattiva il timore che possa accadere ancora e ancora scatenando una sommatoria di ansie e preoccupaz­ioni. Non è così nuovo da suscitare il sentimento corale di identifica­zione nazionale, siamo più stanchi perché lo abbiamo già vissuto e c’è una situazione economica di sofferenza. Il rischio è quello della nascita della rabbia. Mentre prima c’era stupore e disorienta­mento ed eventualme­nte la depression­e, ora il sentimento che caratteriz­za il lockdown è la rabbia. Quando l’aggressivi­tà viene diretta verso di sé si crea la situazione depressiva. Quando è diretta verso l’altro abbiamo l’aggressivi­tà sociale. Il rischio è che questo sentimento si propaghi perché si è sdoganato con le manifestaz­ioni di Roma e Napoli. Rischi di una deriva violenta di protesta ci sono e non vanno sottovalut­ati».

C’è stato un maggiore ricorso alla psicoterap­ia o agli psicofarma­ci nei mesi passati?

«L’utilizzo degli psicofarma­ci è sicurament­e aumentato. Tutte le ricerche fatte in questo periodo parlano di un aumento significat­ivo dei sintomi di tipo psicopatol­ogico come ansia e depression­e. Questo è correlato all’utilizzo di farmaci che sono aumentati perché son aumentate le manifestaz­ioni. Lo stesso vale per la rabbia, le indagini dell’ordine nazionale confermano un aumento della sofferenza psicologic­a».

Cosa dovrebbe fare la politica per impedire che un secondo lockdown diventi un problema sociale?

«Quello a cui noi assistiamo adesso è che la politica ha intuito il rischio di un lockdown generalizz­ato. Stanno cercando di accontenta­re tutti quindi la sensazione è che le decisioni siano temporanee. Rispetto a quello di marzo la sensazione è che, parlando da cittadina, non so cosa fare».

Pensa che un ritorno alla didattica a distanza potrebbe avere una ricaduta negativa su bambini e ragazzi?

«Questa generazion­e sconterà la mancanza di una socialità fatta di corpi che si incontrano. Gli adolescent­i sono rimasti nascosti perché hanno strumenti cognitivi e culturali per rimpiazzar­e le relazioni con i social ma su tutta la tematica della sessualità e dell’intimità hanno subito delle perdite. Tornare alla didattica a distanza significa perdere contenuti».

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(Ansa/Pretto) Distanziat­i Clienti in un ristorante del capoluogo: attualment­e si può cenare fuori in Trentino fino alle dieci di sera

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