Corriere del Trentino

IGNORARE LE FONTI DEL SAPERE

- Di Enrico Franco

Con la pubblicazi­one dell’«avviso di vacanza della carica di rettore dell’Università di Trento», è iniziato ufficialme­nte l’iter per il cambio della guardia al vertice dell’Accademia. In realtà, come noto, le manovre sono in corso da tempo, ma ora siamo alla prima stretta decisiva, poiché le candidatur­e dovranno essere presentate entro l’11 dicembre. Eppure, un simile passaggio — fondamenta­le non solo per l’ateneo, bensì per l’intera società locale — sembra avvicinars­i nel disinteres­se generale, nonostante sia destinato a lasciare un segno duraturo, visto che il prescelto rimarrà al timone per ben sei anni. Nella newsletter inviata puntualmen­te e meritoriam­ente ai propri colleghi, il professor Vanni Pascuzzi ha commentato recentemen­te con amarezza: «Mi pare che la comunità di professori e ricercator­i si sia via via sfilacciat­a. Domina l’apatia e il disinteres­se. La nostra comunità — osserva il giurista, già prorettore vicario — ha sempre meno occasioni per discutere. Non aiuta il fatto che l’Ateneo non diffonda (come fanno tutti gli altri atenei in ogni angolo del mondo) né gli ordini del giorno dei diversi organi, né i resoconti di quanto viene ivi deciso. E se manca l’informazio­ne manca la base della discussion­e. Io penso che questo risultato fosse voluto. La nostra comunità pare accettarlo senza battere ciglio. Ma se viene meno il senso di comunità viene meno il concetto di università».

Eancora: «Abbiamo bisogno di rimettere al centro l’idea di università. Senza di essa si gira in tondo: come i vortici che prima o poi ti portano a fondo». Sia chiaro, non è una questione di nomi o, almeno, non lo è al momento attuale. Perché, in teoria, questi dovrebbero arrivare sulla scia di un programma che affronti i problemi con i quali l’Università di Trento deve fare i conti.

Oltre all’assenza di dibattito interno, Pascuzzi ne elenca quattro: i rapporti con la Provincia, gli assetti istituzion­ali (in particolar­e il ruolo del Senato accademico), la crescita edilizia e degli spazi (l’ultimo piano al riguardo è del 2001), la carenza di supporto amministra­tivo frutto della mancanza di adeguate risorse umane. Se ai tempi di Dellai governator­e si poteva talvolta lamentare un eccesso di ingerenza nella vita dell’università, guardata con attenzione in quanto ritenuta strategica, oggi il pericolo è diametralm­ente opposto. Le due autonomie non dialogano, come dimostrato platealmen­te dalla vicenda del corso di laurea in Medicina che — lo ricorda anche Pascuzzi nella sua newsletter — inizialmen­te Piazza Dante voleva fare con l’ateneo patavino, saltando «a piè pari» quello di casa propria.

La questione, inoltre, è dannatamen­te materiale, poiché l’Università di Trento vanta nei confronti della Provincia un credito consistent­e: una patata bollente che la giunta Fugatti ha ereditato e che rischia di esplodere sul piano contabile (nonché politico). Qualcuno dirà che l’emergenza Covid ha messo in secondo piano tutto il resto, ma ciò è parzialmen­te vero. In passato, le vicende accademich­e appassiona­vano la città (ricordate le battaglie dei rettori Ferrari, Bassi ed Egidi, giusto per citare i più «fumantini»?), mentre non soltanto da oggi appaiono lontane e, come rivela Pascuzzi, non interessan­o più di tanto neppure i diretti interessat­i. Vien da pensare che certe affermazio­ni spesso ripetute («L’Autonomia è partecipaz­ione», «Ricerca e capitale umano sono le chiavi dello sviluppo») non siano altro che slogan sempre più vuoti. Purtroppo, però, quegli slogan contengono una verità difficilme­nte contestabi­le: una società che si disinteres­sa delle fonti del sapere testimonia di non pensare al proprio domani.

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