IGNORARE LE FONTI DEL SAPERE
Con la pubblicazione dell’«avviso di vacanza della carica di rettore dell’Università di Trento», è iniziato ufficialmente l’iter per il cambio della guardia al vertice dell’Accademia. In realtà, come noto, le manovre sono in corso da tempo, ma ora siamo alla prima stretta decisiva, poiché le candidature dovranno essere presentate entro l’11 dicembre. Eppure, un simile passaggio — fondamentale non solo per l’ateneo, bensì per l’intera società locale — sembra avvicinarsi nel disinteresse generale, nonostante sia destinato a lasciare un segno duraturo, visto che il prescelto rimarrà al timone per ben sei anni. Nella newsletter inviata puntualmente e meritoriamente ai propri colleghi, il professor Vanni Pascuzzi ha commentato recentemente con amarezza: «Mi pare che la comunità di professori e ricercatori si sia via via sfilacciata. Domina l’apatia e il disinteresse. La nostra comunità — osserva il giurista, già prorettore vicario — ha sempre meno occasioni per discutere. Non aiuta il fatto che l’Ateneo non diffonda (come fanno tutti gli altri atenei in ogni angolo del mondo) né gli ordini del giorno dei diversi organi, né i resoconti di quanto viene ivi deciso. E se manca l’informazione manca la base della discussione. Io penso che questo risultato fosse voluto. La nostra comunità pare accettarlo senza battere ciglio. Ma se viene meno il senso di comunità viene meno il concetto di università».
Eancora: «Abbiamo bisogno di rimettere al centro l’idea di università. Senza di essa si gira in tondo: come i vortici che prima o poi ti portano a fondo». Sia chiaro, non è una questione di nomi o, almeno, non lo è al momento attuale. Perché, in teoria, questi dovrebbero arrivare sulla scia di un programma che affronti i problemi con i quali l’Università di Trento deve fare i conti.
Oltre all’assenza di dibattito interno, Pascuzzi ne elenca quattro: i rapporti con la Provincia, gli assetti istituzionali (in particolare il ruolo del Senato accademico), la crescita edilizia e degli spazi (l’ultimo piano al riguardo è del 2001), la carenza di supporto amministrativo frutto della mancanza di adeguate risorse umane. Se ai tempi di Dellai governatore si poteva talvolta lamentare un eccesso di ingerenza nella vita dell’università, guardata con attenzione in quanto ritenuta strategica, oggi il pericolo è diametralmente opposto. Le due autonomie non dialogano, come dimostrato platealmente dalla vicenda del corso di laurea in Medicina che — lo ricorda anche Pascuzzi nella sua newsletter — inizialmente Piazza Dante voleva fare con l’ateneo patavino, saltando «a piè pari» quello di casa propria.
La questione, inoltre, è dannatamente materiale, poiché l’Università di Trento vanta nei confronti della Provincia un credito consistente: una patata bollente che la giunta Fugatti ha ereditato e che rischia di esplodere sul piano contabile (nonché politico). Qualcuno dirà che l’emergenza Covid ha messo in secondo piano tutto il resto, ma ciò è parzialmente vero. In passato, le vicende accademiche appassionavano la città (ricordate le battaglie dei rettori Ferrari, Bassi ed Egidi, giusto per citare i più «fumantini»?), mentre non soltanto da oggi appaiono lontane e, come rivela Pascuzzi, non interessano più di tanto neppure i diretti interessati. Vien da pensare che certe affermazioni spesso ripetute («L’Autonomia è partecipazione», «Ricerca e capitale umano sono le chiavi dello sviluppo») non siano altro che slogan sempre più vuoti. Purtroppo, però, quegli slogan contengono una verità difficilmente contestabile: una società che si disinteressa delle fonti del sapere testimonia di non pensare al proprio domani.