Il paese sommerso
Il dramma di Curon: un libro raccoglie i documenti del film di Georg Lembergh «Per anni nessuno ha dato voce alle persone a cui l’acqua ha portato via tutto»
L’immagine è famosa: il campanile trecentesco di Curon affiora solitario dal lago altoatesino di Resia. Una visione ipnotica, immortalata da chiunque ci sia andato da turista. E sono tanti, si calcola un milione di visitatori ogni anno. Quel campanile è protagonista anche di due lavori di fiction. Un romanzo: il pluripremiato Resto qui, bestseller di Marco Balzano (Einaudi). E una serie-tivù, lanciata di recente (e con successo) da Netflix, con il titolo Curon.
Eppure, in questa ondata di popolarità mancava la cronaca nuda di come sia finito quel campanile là sotto. Ma soprattutto mancava la voce di chi c’era e aveva la propria casa dove ora c’è solo acqua. E’ nato così Curon. Il paese sommerso, docu-movie di Georg Lembergh, prodotto nel 2018 da Albolina Film e acclamato in tanti festival. Il materiale documentale raccolto per quel film è ora diventato un libro, scritto a quattro mani dal regista e da Brigitte Pircher, appena uscito per le edizioni Raetia.
La storia è conosciuta. Se ne parlava fin dal 1911. Poi l’accelerata sotto il fascismo, finché un giorno del 1940 è apparsa sulla bacheca del comune di Curon l’autorizzazione al progetto presentato da Montecatini. Finita la guerra, la ricostruzione reclamava di nuovo energia. Nel 1947 la decisione è presa: sarebbero stati sbarrati il lago di Curon e quello di Resia, il primo salendo di 27 metri, l’altro di 22, i paesi sommersi. Tra i progettisti, Francesco Sensidoni, ingegnere, che finirà poi alla sbarra per il Vajont.
Lavori celeri: entro la fine di agosto del 1950 il lago artificiale viene riempito interamente. La gente sfollata doveva ricominciare altrove. La malinconia diventava silenzio: «In tanti anni nessuno ha davvero mai dato voce a quelle persone e loro stesse non amavano parlarne», sottolinea Brigitte Pircher. Insegnante, cresciuta in Val Venosta, su quel lago artificiale ci ha scritto una tesi di laurea. Georg Lembergh ci pensava da tempo. Film-maker austriaco, ha radici familiari in questo lembo altoatesino: «Mio zio Hans era tra i passeggeri dell’autobus che il 13 agosto 1951 uscì di strada e finì inabissato nel lago: 22 vittime, tra cui lui. A un anno dalla costruzione della diga, nessuno aveva posto le protezioni sulla carreggiata».
Non c’è alcun mistero sotto la fotogenica immagine del campanile che sbuca dal lago, solo una vicenda drammatica e triste. Così appare nel libro di Pircher e Lembergh: una ricostruzione magistralmente asciutta, tante testimonianze e un magnifico apparato fotografico, soprattutto d’archivio. E così scorrono i ricordi. In tanti parlano di Alfredo Rieper, il parroco che ha difeso la comunità e si è battuto per risarcimenti dignitosi. La paura alla prova d’invaso nel 1949, quando nessuno era stato avvisato. «Rosa Prenner ha raccontato che di mattina presto era in chiesa a Resia quando l’acqua arrivò fino alla porta e così dovettero uscire dalla sacrestia», riporta Peppi
Plangger. Tutti sfollati: «Ricordo mio padre seduto su una cassa per i traslochi. Ludwig, il mio fratellino di 3 anni, gli stava in grembo, piangevano entrambi», dice Eleonora Moritz. Hanno fatto saltare le case, riesumato le salme, fatta esplodere la chiesa, il campanile no, troppo antico e protetto dalla sovrintendenza. Nel cantiere, la Montecatini aveva portato maestranze italiane e con gli abitanti si guardavano storti. «Ma quegli operai erano uomini poverissimi che arrivavano dalla Sicilia, senza una lira e con tutto quello che possedevano in un sacchetto di carta», ricorda Josef Stecher. Poi l’acqua ha riempito tutto. E il campanile ci è rimasto dentro. Chi non è riuscito a comprarsi un pezzo di terra o una casetta, è finito per almeno un anno nelle baracche costruite dalla Montecatini. Per anni, ogni volta che veniva prosciugato il letto del lago, si alzava una nebbia di polvere e terra che avvolgeva tutto. C’è voluto tempo per ritrovare una nuova normalità. Ma nel frattempo si aprivano le distanze tra «i vecchi chiusi nel dolore dei ricordi e i giovani nati in un’altra epoca con un lago disponibile per tanti sport d’acqua», racconta Brigitte Pircher. Covavano anche i risentimenti tra comunità, tedesca e italiana, entrambe testimoni di una storia in cui lo Stato ha agito da padrone.