Corriere del Trentino

Gerosa nella Striscia di Gaza Il parkour come riscatto

- di Fabio Bozzato

Abdallah e Jehad sono due amici ventenni, amano il parkour e sognano la Svezia. Hanno un problema: vivono a Gaza. Sigillata da Israele, governata dal pugno di ferro di Hamas, la Striscia è una prigione a cielo aperto, grande appena 42 chilometri quadrati. Chi ha vent’anni non ha visto nient’altro che questo. Chi resta deve inventarsi un modo per sopravvive­re. Chi riesce ad andarsene, sa che non potrà rientrare.

Abdallah riesce ad avere un visto e approda in Italia. Jehad resta a Gaza. I destini dei due amici si dividono. Attorno a questa storia struggente, il regista trentino Emanuele Gerosa ha realizzato One more

jump, che ha vinto nei giorni scorsi il Prix Europa come miglior documentar­io per la tivù 2020, tra 24 film in concorso provenient­i da 14 paesi. «Mi sento felice e orgoglioso – dice il regista – E’ un premio prestigios­o, che può aprire nuovi canali di distribuzi­one e mi regala nuove chance per i prossimi lavori». E aggiunge: «Sono anche felice che abbia vinto un documentar­io sul tentativo di superare gli ostacoli, non solo fisici, ma soprattutt­o politici e geografici». Gerosa, nato a Rovereto nel 1975, dove vive, ha studiato Storia contempora­nea a Bologna e ha lavorato in Spagna per programmi televisivi e spot pubblicita­ri. Una tappa a Milano e il rientro nella sua città natale. One more jump è il suo secondo doc-movie: prodotto dalla torinese Graffiti Doc e da Rai Cinema, con Trentino Film Commission e Radiotelev­isione svizzera, tra gli altri. L’esordio l’anno scorso alla Festa del Cinema di Roma, debutto internazio­nale a «Visions du réel» in Svizzera, poi accolto in molti altri festival europei. Il film è distribuit­o da Fandango, ma l’epidemia ha chiuso le sale dei cinema: doveva uscire ora.

A Gerosa l’idea è venuta nel 2015 vedendo il video di un minuto uscito sul sito di The

Guardian: mostrava i ragazzi che animano il Gaza Parkour Team. Grazie alla ACS (Associazio­ne di cooperazio­ne e solidariet­à), che opera nella Striscia, il regista è riuscito a mettersi in contatto con Abdallah e Jehad, è andato più volte a trovarli, facendosi passare per videomaker dell’Ong. «Il parkour è l’arte di superare ogni tipo di ostacolo attraverso la corsa, i salti o l’uso di movimenti acrobatici – racconta - . E’ evidente che c’è un collegamen­to simbolico molto forte tra il parkour e la realtà che le persone affrontano ogni giorno a Gaza, rinchiuse dentro alti muri e vigilate da check-point e da posti di controllo ai pochi valichi disponibil­i, chiusi per la maggior parte del tempo».

Cosa ne è stato dei due protagonis­ti? Abdallah ha ottenuto asilo politico in Italia. Gerosa lo ha seguito, lo ha appoggiato quando si è trovato in difficoltà, ne ha colto lo stupore quando è riuscito ad andare in Svezia alla competizio­ne di parkour. Durante un allenament­o, il giovane ha avuto un incidente e ora si trova costretto in una sedia a rotelle. Quando si dice il destino. Jehad è ancora a Gaza e ha ben poche possibilit­à di uscire, sigillata com’è.

E così One more jump è anche il racconto di un legame d’amicizia spezzato: «Non volevo fare un film “politico” – continua il regista - ma la guerra e l’occupazion­e israeliana permeano a tal punto la vita di Gaza e dei palestines­i che vivono all’estero, che questi elementi non possono che essere costanteme­nte presenti. Ho usato il parkour come metafora visiva della condizione in cui questi ragazzi vivono. A Gaza gli ostacoli e le barriere sono ovunque e superarli è parte della vita quotidiana».

«Sono rimasto molto colpito dal vincolo di fratellanz­a di questi ragazzi e dalla loro caparbietà nel voler riscrivere il loro futuro. E questa storia, il loro legame e la loro volontà, sono gli elementi che mi ricordano immediatam­ente perché amo essere un filmmaker».

Sono rimasto molto colpito dal vincolo di fratellanz­a di questi ragazzi e dalla caparbietà nel voler riscrivere il loro futuro attraverso lo sport

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Emanuele Gerosa (nella foto)

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