IL VIRUS E I PATTI TRA IMPRESE
Man a mano che i mesi passano, appare più chiaro che il tempo che stiamo vivendo non rappresenta uno stato di eccezione, una parentesi entro la linea di una normalità che era e che sarà. Siamo invece alle soglie di un’epoca nuova. A molti non è piaciuta la similitudine tra pandemia e guerra, ma non è facile smentire chi preconizza che, quando tutto sarà finito, sembrerà di riprendere la vita come in una fase postbellica; e si sa che, dopo la guerra, la vita non è mai uguale a prima.
Tanto si è detto dei costi economici di questa crisi. Da tempo di guerra, appunto. Appare invece in parte inesplorato l’impatto della pandemia sul sistema delle regole che governano i nostri rapporti privati: quelli tra imprese, professionisti, lavoratori. Eppure, la pandemia ha già colpito la fisionomia di quelle regole: è un’enorme sopravvenienza negativa quella che si è abbattuta sui rapporti contrattuali, facendo saltare il precario equilibrio sul quale quei rapporti si reggevano. Il sistema delle regole non era pronto ad assorbire il colpo. È come se una fragile ragnatela di relazioni contrattuali, fatte di tante forniture e subforniture, garanzie, rapporti commerciali, d’un tratto si fosse squarciata.
Ipatti sono da rispettare, sempre: ma in tanti casi è assai difficile, se non addirittura impossibile, tener fede agli impegni presi prima. La crisi ha messo in discussione, se non la stessa capacità di adempimento, quantomeno la tempestività dell’adempimento: quanti sono oggi a chiedere una dilazione di pagamento? In qualche caso, per ora piuttosto sporadico, i giudici si sono pronunciati nel senso che un certo ritardo possa pure essere tollerabile. Il tema è vivo a Nordest: questo territorio è fatto per larghissima parte di piccole imprese che restano a galla proprio perché si basano su una stretta interconnessione: se l’uno non paga all’altro, quest’ultimo non riesce a sua volta ad adempiere, e la patologia presto si allarga a macchia d’olio. La frantumazione di questa rete relazionale ha generato ora uno stato di incertezza che appare difficile da gestire.
La prima strada, da tutti suggerita, è quella di tentare, ogni volta che sia possibile, una rinegoziazione dei rapporti. Facile a dirsi. Occorrerebbe che i soggetti di questa rete – e in Trentino Alto Adige spesso sono medi o piccoli, magari poco assistiti giuridicamente – trovassero il punto di compromesso per flessibilizzare i loro accordi.
Per il futuro, poi, senza dubbio è necessario predisporre regole ad assetto variabile, strutturate in ragione di come gli scenari si evolvono via via. Essenziale è potenziare al massimo il ruolo delle mediazioni e degli arbitrati, ma anche sperimentare forme di ibridazione tra le prime e i secondi.
I problemi però restano. Tanto più a fronte di questa recrudescenza del virus, gli esercizi commerciali che erano tenuti a pagare canoni di locazione elevati non riescono più a onorare gli impegni. Prima dell’estate, alcuni grandi soggetti della distribuzione sono riusciti a impostare strategie di rinegoziazione su larga scala; chi invece ha le spalle strette – il singolo artigiano, il piccolo venditore – e magari ha confidato nella ripresa estiva, ora si trova all’angolo.
La Germania, per esempio, ha varato già all’inizio della pandemia una legislazione speciale in materia di Covid che introduce moratorie di pagamento e sospinge alla manutenzione contrattuale. E qui da noi? Non potrebbe essere il caso di pensare, almeno a livello regionale, a forme coordinate di supporto e assistenza alla rinegoziazione? Il tema è tutto da impostare. Ma è chiaro che il domani sarà molto diverso dal passato: ed è necessario fare i conti con la grande trasformazione in corso. È questa l’unica condizione perché una ricostruzione post-bellica davvero vi sia.