«Franco Panariello, anima inquieta»
Samaden e gli anni di Pergine con il fratello del comico Giorgio: voleva cambiare
Nel libro Io sono mio fratello (Mondadori, 2020) che sarà presentato a Trento il 20 aprile 2021, il comico Giorgio Panariello racconta per la prima volta la storia di suo fratello Franco, morto nel 2011 a 50 anni dopo essere caduto nella tossicodipendenza. Una condizione che i due fratelli avevano provato a sconfiggere intraprendendo la strada di San Patrignano alla sede di Pergine. Samaden, capo del centro ricorda Franco: «Anima inquieta, alla ricerca di affetto»
TRENTO Un libro per raccontare il volto oscuro della vita, ma anche per fare giustizia alla memoria di un affetto caro. In Io sono mio fratello (Mondadori, 2020. Presentazione a Trento il 20 aprile 2021 nel tour La favola mia) il comico Giorgio Panariello racconta per la prima volta la storia di suo fratello Franco, morto nel 2011 a soli 50 anni dopo essere caduto nella tossicodipendenza. Una condizione che i due fratelli Panariello avevano provato a sconfiggere intraprendendo la strada di San Patrignano, arrivando alla sede di Pergine. Una storia tragica che ha avuto come protagonista anche Federico Samaden, ex tossicodipendente ora a capo del presidio permanente di lotta alle droghe della Provincia di Trento.
Federico Samaden, all’epoca lei era il responsabile unico della comunità di San Patrignano a San Vito di Pergine. Si ricorda di Franco Panariello?
«Me lo ricordo bene. Non ricordo le valutazioni che lo assegnarono a Pergine, ma la nostra sede era un ambiente particolarmente tranquillo, con pochi ragazzi. Un luogo molto adatto anche per chi, come lui, aveva dei trascorsi molto pesanti».
Che persona era?
«Era una ragazzo alla ricerca di affetto e considerazione. Ho trascorso molte ore a parlargli: non aveva fiducia nella vita, un atteggiamento molto comune alla maggior parte dei ragazzi che hanno quel tipo di storia. Il nostro metodo consisteva nel ridare fiducia attraverso l’affetto, aprendo la porta della diffidenza. Anche con Franco è andata così. Ma in lui ricordo un’inquietudine di fondo, un punto interrogativo all’origine di sé, come se fosse un secchio bucato incapace di trattenere l’acqua».
Come si trascorrevano le giornate?
«Lo avevo assegnato alla cura degli animali: in questa dimensione agricola e bucolica poteva occuparsi delle mucche e lavorare nella natura. Franco è stato a San Patrignano circa due anni, e in questo periodo c’è stata anche una visita di Giorgio, con il quale avevamo stretto un rapporto proprio per l’interesse comune nei confronti di suo fratello».
Franco decise di lasciare la comunità. Come mai?
«La valorizzazione di sé e della propria vita non è un processo matematico. Ci vuole tempo e pazienza, e ci sono anche casi di persone che hanno bisogno di cadere altre volte prima di concludere il cammino, di fare il percorso a pezzi. Certo questo è molto più rischioso, perché tra un recupero e l’altro puoi morire come è successo a lui. Franco aveva già intrapreso una buona strada e aveva già fatto dei pezzi di cammino. Se non fosse morto di sicuro ce l’avrebbe fatta».
Cosa determina il successo o il fallimento?
«I percorsi di ricostruzione di se stessi sono dolorosi e faticosi, e non a caso si devono fare insieme. Buona parte dei fallimenti purtroppo è dovuta alla fretta o alla sottovalutazione di una semplice verità: se non si fa una cosa bene fino in fondo, poi quella cosa si disfa. Come un bel pullover con un filo che pende, se non lo si sistema rovina tutta la maglia. Ciò contrasta con una delle abitudini principali di chi si droga: volere tutto e subito».
Crede che in Trentino ci sia di nuovo bisogno di una struttura come quella di San Patrignano, chiusa nel 2014?
«Senza dubbio sì. La sede di Pergine è stata chiusa per motivi economici e organizzativi, non c’era la volontà di abbandonare il territorio. Vorrei riaprire una struttura simile, ispirata agli stessi principi. La cosa più importante ora è creare una struttura per minorenni. Anche i ragazzi come Franco hanno ovviamente diritto ad avere una mano, ma si tratta di persone che, pur in difficoltà, hanno una struttura come individui. Quelli che si perdono oggi sono giovanissimi di 14 anni, un patrimonio umano che non si deve disperdere».
L’eroina è tornata a diffondersi?
«L’eroina non è mai sparita. I flussi di utilizzo delle droghe fotografano degli andamenti, ma la droga non scompare mai. Ora i costi si sono abbassati e il costo dello sballo è 10 euro: una cifra che anche un adolescente può permettersi».