«Pochi medici di base e i pazienti a domicilio restano soli per giorni»
Ioppi: numeri troppo elevati. Pedrotti: personale demotivato
TRENTO L’incremento dei posti letto nei reparti Covid è un tassello fondamentale nella lotta al coronavirus, ma attenzione a non dimenticare l’«anello più debole»: la medicina territoriale. «Perché i medici di base non riescono più a curare un numero così alto di assistiti e spesso i pazienti Covid a domicilio restano da soli, senza ricevere informazioni per giorni». È un appello, ma anche una denuncia, il monito che lanciano i presidenti dell’Ordine dei medici, Marco Ioppi, e degli infermieri, Daniel Pedrotti, sulla gestione della seconda ondata da parte delle autorità provinciali.
Da un lato, di fronte all’aumento del numero delle persone ricoverate (ad oggi sono 338) l’Azienda sanitaria si sta adoperando per completare la riorganizzazione dalle rete ospedaliera: «Stiamo lavorando per arrivare a 500 posti letto nei reparti Covid», ha spiegato sul Corriere del Trentino di ieri il direttore del Dipartimento di prevenzione, Antonio Ferro. Ma dall’altro lato «la grande organizzazione delle strutture ospedaliere fa risaltare un fatto — osserva Marco Ioppi —: in Trentino c’è un numero decisivamente elevato di ricoverati rispetto ai pazienti positivi, quasi il doppio rispetto alla media nazionale». Come si spiega? «O da noi il Covid si manifesta in maniera più aggressiva da un punto di vista clinico oppure da noi c’è una medicina territoriale che cura poco o non è in grado di curare i pazienti Covid a domicilio», conclude il ragionamento Ioppi.
La seconda ipotesi è quella che viene ritenuta più plausibile. «Il medico di medicina generale è costretto a lavorare in maniera individualista ma in questo modo non può prendersi cura di un numero così elevato di assistiti», evidenzia ancora il presidente dell’Ordine dei medici. La proposta per ovviare al problema è la stessa che arriva dall’Ordine degli infermieri: «È necessario incrementare il numero di professionisti, oltre che di medici, anche di infermieri — afferma Daniel Pedrotti — Per evitare anche il collasso dei Pronto soccorso bisogna creare dei micro team di professionisti che garantiscano a tutti il primo livello di assistenza». Cosa che in queste settimane non sempre starebbe avvenendo. «Pur consapevoli dello sforzo che è stata fatto, le persone spesso restano sole e senza informazioni e a volte intercorrono anche 10-12 giorni dalla chiamata dell’Azienda sanitaria», fa notare Pedrotti.
A questa situazione si lega, secondo i due ordini delle professioni sanitarie, un’altra criticità. «Le unità speciali
Usca (ossia i medici che hanno il compito di seguire i pazienti Covid a domicilio, ndr) sono insufficienti — denuncia il presidente dell’Ordine dei medici — Dovrebbero essere almeno 2 ogni 40.000 abitanti secondo le indicazioni del ministero della Salute ma noi ne abbiamo soltanto 13. Ne dovremmo avere almeno 20». È stata accolta positivamente invece la notizia della possibilità di adottare la cosiddetta «quarantena attiva immediata», che consente al soggetto risultato positivo al tampone di ricevere subito il certificato di quarantena, senza aspettare la chiamata della centrale Covid. «Anche se è lo sblocco di una situazione che è stata dimenticata per tanto tempo», puntualizza il presidente dell’Ordine dei medici.
E a proposito della Centrale Covid, che si occupa per via telefonica sia della presa in carico dei positivi che del tracciamento dei contatti, arriva un’ulteriore proposta, frutto «delle esigenze che arrivano dal territorio». «La Centrale Covid è una buonissima intuizione ma la popolazione non può trovare delle risposte evasive — sostiene Ioppi — E chi più di un medico in pensione, che ha passato una vita a dare risposte e a capire le angosce delle persone, è in grado di dare risposte rassicuranti e di indirizzo?». La via suggerita è di reclutare medici o infermieri in pensione per una rete di comunicazione «più valida».
C’è infine un’ultima questione, tra le più importanti, che riguarda direttamente il personale sanitario. «Ad oggi non abbiamo ancora una programmazione degli esami diagnostici per gli operatori sanitari — spiega Pedrotti, presidente dell’Ordine degli infermieri — Medici e infermieri dovrebbero essere tamponati periodicamente, non possono lavorare nella paura». Da qui deriva anche il differente stato d’animo con cui il personale sanitario sta affrontando questa seconda ondata. «Nella prima ondata c’era una sorta di entusiasmo nell’affrontare insieme l’emergenza, mentre ora la stanchezza e la delusione sono più diffuse», concludono i due presidenti.