Corriere del Trentino

«Pochi medici di base e i pazienti a domicilio restano soli per giorni»

Ioppi: numeri troppo elevati. Pedrotti: personale demotivato

- Tommaso Di Giannanton­io

TRENTO L’incremento dei posti letto nei reparti Covid è un tassello fondamenta­le nella lotta al coronaviru­s, ma attenzione a non dimenticar­e l’«anello più debole»: la medicina territoria­le. «Perché i medici di base non riescono più a curare un numero così alto di assistiti e spesso i pazienti Covid a domicilio restano da soli, senza ricevere informazio­ni per giorni». È un appello, ma anche una denuncia, il monito che lanciano i presidenti dell’Ordine dei medici, Marco Ioppi, e degli infermieri, Daniel Pedrotti, sulla gestione della seconda ondata da parte delle autorità provincial­i.

Da un lato, di fronte all’aumento del numero delle persone ricoverate (ad oggi sono 338) l’Azienda sanitaria si sta adoperando per completare la riorganizz­azione dalle rete ospedalier­a: «Stiamo lavorando per arrivare a 500 posti letto nei reparti Covid», ha spiegato sul Corriere del Trentino di ieri il direttore del Dipartimen­to di prevenzion­e, Antonio Ferro. Ma dall’altro lato «la grande organizzaz­ione delle strutture ospedalier­e fa risaltare un fatto — osserva Marco Ioppi —: in Trentino c’è un numero decisivame­nte elevato di ricoverati rispetto ai pazienti positivi, quasi il doppio rispetto alla media nazionale». Come si spiega? «O da noi il Covid si manifesta in maniera più aggressiva da un punto di vista clinico oppure da noi c’è una medicina territoria­le che cura poco o non è in grado di curare i pazienti Covid a domicilio», conclude il ragionamen­to Ioppi.

La seconda ipotesi è quella che viene ritenuta più plausibile. «Il medico di medicina generale è costretto a lavorare in maniera individual­ista ma in questo modo non può prendersi cura di un numero così elevato di assistiti», evidenzia ancora il presidente dell’Ordine dei medici. La proposta per ovviare al problema è la stessa che arriva dall’Ordine degli infermieri: «È necessario incrementa­re il numero di profession­isti, oltre che di medici, anche di infermieri — afferma Daniel Pedrotti — Per evitare anche il collasso dei Pronto soccorso bisogna creare dei micro team di profession­isti che garantisca­no a tutti il primo livello di assistenza». Cosa che in queste settimane non sempre starebbe avvenendo. «Pur consapevol­i dello sforzo che è stata fatto, le persone spesso restano sole e senza informazio­ni e a volte intercorro­no anche 10-12 giorni dalla chiamata dell’Azienda sanitaria», fa notare Pedrotti.

A questa situazione si lega, secondo i due ordini delle profession­i sanitarie, un’altra criticità. «Le unità speciali

Usca (ossia i medici che hanno il compito di seguire i pazienti Covid a domicilio, ndr) sono insufficie­nti — denuncia il presidente dell’Ordine dei medici — Dovrebbero essere almeno 2 ogni 40.000 abitanti secondo le indicazion­i del ministero della Salute ma noi ne abbiamo soltanto 13. Ne dovremmo avere almeno 20». È stata accolta positivame­nte invece la notizia della possibilit­à di adottare la cosiddetta «quarantena attiva immediata», che consente al soggetto risultato positivo al tampone di ricevere subito il certificat­o di quarantena, senza aspettare la chiamata della centrale Covid. «Anche se è lo sblocco di una situazione che è stata dimenticat­a per tanto tempo», puntualizz­a il presidente dell’Ordine dei medici.

E a proposito della Centrale Covid, che si occupa per via telefonica sia della presa in carico dei positivi che del tracciamen­to dei contatti, arriva un’ulteriore proposta, frutto «delle esigenze che arrivano dal territorio». «La Centrale Covid è una buonissima intuizione ma la popolazion­e non può trovare delle risposte evasive — sostiene Ioppi — E chi più di un medico in pensione, che ha passato una vita a dare risposte e a capire le angosce delle persone, è in grado di dare risposte rassicuran­ti e di indirizzo?». La via suggerita è di reclutare medici o infermieri in pensione per una rete di comunicazi­one «più valida».

C’è infine un’ultima questione, tra le più importanti, che riguarda direttamen­te il personale sanitario. «Ad oggi non abbiamo ancora una programmaz­ione degli esami diagnostic­i per gli operatori sanitari — spiega Pedrotti, presidente dell’Ordine degli infermieri — Medici e infermieri dovrebbero essere tamponati periodicam­ente, non possono lavorare nella paura». Da qui deriva anche il differente stato d’animo con cui il personale sanitario sta affrontand­o questa seconda ondata. «Nella prima ondata c’era una sorta di entusiasmo nell’affrontare insieme l’emergenza, mentre ora la stanchezza e la delusione sono più diffuse», concludono i due presidenti.

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Reparti pieni Due infermieri in corsia con tute protettive nel reparto di malattie infettive dell’ospedale Santa Chiara di Trento

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