Corriere del Trentino

OTTAVIA PICCOLO «I MIEI 60 ANNI DI PALCOSCENI­CO»

L’attrice di Bolzano festeggia il traguardo profession­ale tra cinema, teatro e television­e. E torna nella sua città natale per il debutto nazionale della nuova pièce il 14 gennaio

- Di Silvia M.C.Senette

«Irumori strani sono perché sto cucinando. Ma sono perennemen­te in multitaski­ng: sto avviando un risotto con i funghi, adesso andrò a fare una passeggiat­a, voglio godermi questa giornata bellissima». Semplice, immediata, genuina, la «signora del palcosceni­co», una delle più stimate attrici italiane, Ottavia Piccolo, di Bolzano, 71 anni appena compiuti. L’artista festeggia in questi giorni sessant’anni di carriera, sempre sul palcosceni­co, dal teatro, al cinema, alla tivù.

«Un bel traguardo - ammette Ottavia Piccolo -. Il 5 novembre 1960 è stata la prima esatta di Anna dei miracoli al teatro Comunale di Modena, poi il 9 abbiamo debuttato a Milano».

Come ricorda l’esordio della sua lunga carriera?

«Come un bellissimo e serissimo gioco. L’ho presa molto seriamente, ma come può fare una bambina quando gioca: se poi gli adulti stanno a guardare e dicono anche “brava” è davvero il massimo».

Com’era da ragazzina?

«Non ero particolar­mente esibizioni­sta, ma la cosa mi piaceva molto. Ero molto timida, educata grazie ai miei genitori, severi ma collaborat­ivi. Non davo noia, non ho mai fatto capricci per i sette mesi della prima tournée e non mi sono mai nemmeno ammalata. Ero giudiziosa, ma con tanta voglia di giocare. Quello è rimasto il mio tratto: ho continuato a lavorare perché teatro, cinema e television­e sono un serissimo gioco».

Lei è nata a Bolzano. Chi dei suoi genitori era altoatesin­o?

«Mio padre era maestro di equitazion­e dei carabinier­i, era stato trasferito in Alto Adige prima della guerra: ci è rimasto fino al ‘49, quando sono nata io. Pochi mesi dopo è stato trasferito a Roma. Bolzano l’ho conosciuta da adulta».

Com’è stato tornare a Bolzano e vivere in Alto Adige?

«Emozionant­e. È una città veramente splendida, meraviglio­sa. Ormai solo pochi amici dei miei genitori ci vivono ancora, alcuni sono mancati per via dell’età, ma i loro figli e i nipoti sono tutt’ora amici miei e torno sempre con immenso piacere».

Esattament­e un anno fa, al teatro Cristallo di Bolzano, ha interpreta­to Haifa nello spettacolo «Occident Express». Il prossimo gennaio, invece, sarebbe dovuta tornare con «Eichmann. Dove inizia la notte».

«Tornerò assolutame­nte ancora a Bolzano. Cominciamo le prove i primi di dicembre al Teatro Comunale di Bolzano e debutterem­o il 14 gennaio, Covid permettend­o. Tutto il mese di dicembre saremo al lavoro. Nel frattempo speriamo che i teatri riaprano e che le cose vadano meglio, ma noi siamo pronti».

In scena sarà la politologa Hannah Arendt.

«Avevo letto il suo saggio La banalità del male sul processo al gerarca nazista Adolf Eichmann. Mi considero molto ignorante e amo che il mio mestiere mi dia occasione continua per studiare. Anche ora mi sto preparando: con il regista Mauro Avogadro e con Paolo Pierobon, mio partner in scena, sono in contatto continuo, ci scambiamo libri da leggere e idee. La sfida è altissima e mi pongo in modo molto umano, modesto, sono pronta a imparare dalle cose che faccio. Aspetto di entrare nel clima dello spettacolo per continuare a lavorarci sopra».

Pochi giorni fa, ospite su La7 a «Propaganda Live», ha dichiarato di essere una privilegia­ta. Cosa intendeva?

«È un privilegio essere arrivata a un punto della mia vita profession­ale in cui posso permetterm­i di scegliere i ruoli senza paura di dover restare qualche mese senza lavorare. Tra l’altro sono in pensione, ma continuo perché mi piace e ritengo che quando si hanno delle cose da dire si deve andare avanti. Invece tanti miei colleghi, anche grandi attrici e attori, con i teatri fermi e le compagnie a casa fanno fatica e non si sa come aiutarli. Molti non rientrano neppure nei parametri per ottenere i famosi ristori».

Avrebbe tenuto aperti i teatri nonostante la pandemia mondiale da Covid?

«Il discorso è ampio e difficile. Ero molto bellicosa sull’argomento, convinta che questo intervento fosse un’assurdità, ma poi mi sono frenata. Se è chiuso tutto non possiamo pretendere che i teatri restino aperti, anche se non mi sembra che nei teatri, come nei musei o nelle bibliotech­e, ci fossero assembrame­nti pericolosi. Invece i mezzi pubblici sono stati sempre pieni. Però speriamo che serva e non si debba andare oltre. La sofferenza è di tutte le categorie, ma quella dei lavoratori dello spettacolo è davvero pesante».

Perché?

«Perché è da sempre che siamo precari. Anzi, di più: siamo intermitte­nti. “Precario” alimenta l’illusione che si possa essere stabilizza­ti, mentre noi non ci stabilizzi­amo mai. In Italia non esistono compagnie fisse, statali. Io dico sempre che siamo anche un po’ “squillo”: ci telefonano e noi si corre».

Come ricorda Gigi Proietti?

«Gigi era speciale, era colto e popolare, una persona di umanità, simpatia e correttezz­a uniche. Ho lavorato con lui tantissimi anni fa ad un progetto che si perde nei secoli: uno spettacolo teatrale in cui io e lui eravamo “i giovani” della compagnia. Era il 1965 e già allora era quella persona indimentic­abile che ci porteremo sempre dentro».

Nel 1970 ha inciso anche un disco, un 45 giri.

«Due ali bianche e Per noi. È stato un errore di gioventù, sono cose che capitano. Si fanno, a un certo punto, un po’ per divertimen­to. Ricky Gianco, che era mio amico, mi convinse e con il mio fidanzato di allora abbiamo fatto questo disco che era davvero poca cosa. Eravamo davvero pessimi, quindi direi dimenticab­ile. Poi, però, ho cantato seriamente con Massimo Ranieri nel musical Barnum».

Il suo «sogno romano» ha detto, è recitare con Nanni Moretti...

«Con Nanni siamo amici, ma di me come attrice non gli importa niente. Pazienza. Gli voglio bene lo stesso e andrò a vedere con grande piacere il suo ultimo film, ma quello rimarrà un sogno».

Un altro sogno?

«Ho fatto di tutto e mi piace essere sorpresa dalle mie scelte, ma non ho personaggi che vorrei perdutamen­te interpreta­re. Il mio sogno è continuare a lavorare in buona salute, tenendo la testa attiva, come hanno fatto miei illustri colleghi, da Franca Valeri a Gianrico Tedeschi: cent’anni.

Facendo teatro e cinema non si è mai soli. E poi ho la fortuna di avere una splendida famiglia. Anche per questo sono una privilegia­ta».

Ora posso scegliere i ruoli che voglio senza la paura di non lavorare 

Sogno di arrivare a 100 anni con la testa attiva come Franca Valeri

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