Corriere del Trentino

«Vaia evidenzia l’insostenib­ilità Subito azioni per cambiare»

- Si. Ca.

La tempesta Vaia ha interessat­o

TRENTO il territorio di 464 Comuni alpini e abbattuto 18 milioni di piante. Il Trentino è stato l’epicentro con 18.389 ettari di superfice forestale annientati seguito dal Veneto (12.227), dall’Alto Adige (5.918), dal Friuli (3.340) e dalla Lombardia (3.200). Un’espression­e radicale dei cambiament­i climatici in corso e dell’insostenib­ilità del modello economico prevalente. Lo hanno ricostruit­o, analizzato e interpreta­to Diego Cason e Michele Nardelli in un saggio intitolato «Il monito della ninfea» (Bertelli editore), uscito una decina di mesi fa e da poco in ristampa dopo una trentina di presentazi­oni lungo lo Stivale, un secondo posto al Premio Leggimonta­gna di Tolmezzo e una serie di recensioni di pregio (tra cui l’alpinista e scrittore Enrico Camanni che ne ha sollecitat­o l’adozione a scuola).

Vaia. Cosa è rimasto, Nardelli?

«Vaia richiede uno sguardo che oltrepassa il fenomeno specifico. Anche se ci sono poi contingenz­e. Una è che la metà delle piante abbattute rimarrà dov’è perché il prelievo proseguirà fino alla metà del 2021 e poi sarà sospeso. In Alto Adige ha raggiunto l’80%, in Trentino il 50-55%, in Veneto e Friuli si è fermato sotto il 50%. Qui si misura anche la presenza o assenza dell’Autonomia. Poi ci sono altri due aspetti...».

Quali?

«L’onda lunga di Vaia si riverbera sulla precarietà del bosco. Le piante sono state indebolite e il bostrico ha preso il sopravvent­o. In ciò Vaia ha agito come un evidenziat­ore delle fragilità naturali, di come ci si è rapportati al bosco e anche, di conseguenz­a, di fragilità istituzion­ali. Il secondo punto è un quesito sul futuro. Ha senso riforestar­e dove Vaia ha portato distruzion­e? Credo che il problema non sia ripriun stinare il regime precedente perché la monocultur­a è un problema. Semmai bisogna riflettere sulla diversific­azione. In questi anni i boschi non sono stati fermi, ma sono cresciuti in modo proporzion­ale all’abbandono della montagna. Il bosco andrebbe riproposto in pianura dove si preferisce il prosecco. Oggi è la pianura che governa la montagna».

La foresta si espande perché le persone abbandonan­o la montagna, fluiscono a valle. È pensabile un’inversione della tendenza?

«Credo di sì, chiama in causa un diverso modello di sviluppo. Il tema è quello del ritorno e bisogna costruire le condizioni a partire dal recupero di alcune produzioni. Gli amministra­tori con cui abbiamo parlato denunciano tutti aspetto: i giovani se ne vanno».

Cosa ha insegnato Vaia?

«Noi scriviamo che Vaia è un messaggero della nostra insostenib­ilità. Gli eventi estremi caratteriz­zano il nostro tempo. Pensiamo allo scioglimen­to dei ghiacciai, come la Marmolada, che muterà gli ecosistemi e inciderà sull’economia dei territori. Consumiamo più di quello che è possibile consumare. Affinché la temperatur­a non aumenti più di un grado e mezzo entro il 2030 la Commission­e per il clima dell’Onu ha calcolato che dovremmo diminuire le emissioni di anidride carbonica del 7,6%. Durante i mesi della pandemia e del lockdown si è fermata al 7,2%. Ciò reclama una radicale messa in discussion­e del modello di sviluppo, non c’è tempo». C’è anche il tema del limite.

«Deve entrare con forza sul terreno politico, non possiamo più accontenta­rci di parlare di sostenibil­ità perché è una soglia che può essere spostata e collocata dove si vuole. Stiamo dilapidand­o le risorse del futuro, delle nuove generazion­i. Consumiamo 1,7 volte quello che l’ecosistema produce, in Italia 2,7. Siamo oltre il limite».

Infine, voi toccate la questione del rapporto uomonatura.

«La cultura moderna è antropocen­trica, ma questa centralità non trova corrispond­enze nella composizio­ne del pianeta. Tutti gli esseri viventi hanno un peso di 550 giga tonnellate di carbonio, l’uomo incide per 0,06 giga tonnellate. Le piante 450, gli animali 2. Gli umani hanno un peso specifico inferiore ai pesci (0,7) o al bestiame (0,1). Non siamo niente e ciò dovrebbe farci riflettere sull’antropocen­trismo. Stiamo mettendo in discussion­e la vita stessa dell’uomo nel pianeta».

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Coautore Michele Nardelli

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