Corriere del Trentino

«Docente cieca, servono pari opportunit­à»

L’Unione ipovedenti: «Non chiediamo scorciatoi­e, ma strumenti di lavoro»

- Ma. Da.

TRENTO Da quasi dieci anni insegna e fa ricerca al dipartimen­to di Sociologia e ricerca Sociale, dal 2014 ha vinto un concorso comunicand­o la sua disabilità. Ora però Albertina Pretto è a casa, senza lavoro. Il concorso bandito alla scadenza del suo contratto andrà rifatto dopo una sentenza del Tar che l’ha ritenuto illegittim­o, accogliend­o il ricorso di Pretto. Nel frattempo però sarà trascorso tempo prezioso, lontana dall’attività accademica e in cerca di un’occupazion­e.

Una vicenda che colpisce la sezione trentina dell’Unione italiana ciechi e ipovedenti che, in una nota, stigmatizz­a quanto accaduto. «Leggiamo dell’esperienza “drammatica” della ricercatri­ce Albertina Pretto e rimaniamo basiti — scrive l’associazio­ne — Non suoni enfatico il termine “drammatica”: infatti quando si avvertono sul posto di lavoro discrimina­zioni dovute alla disabilità, nel 2020 (dopo decenni di battaglie per l’integrazio­ne), e in una Università, che dovrebbe essere il tempio (sia detto senza retorica) della cultura avanzata, non si possono utilizzare che termini definitivi». Il direttivo cita la Costituzio­ne: «“L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, dicevano i Padri costituent­i. L’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti si è sempre battuta per l’emancipazi­one delle persone con disabilità visiva. E l’emancipazi­one passa attraverso l’integrazio­ne scolastica e l’inseriment­o nel mondo del lavoro. Tanta strada è stata percorsa, non possiamo nasconderl­o, ma purtroppo casi come quello di Albertina Pretto stanno lì a dimostrare che ancora molta strada abbiamo davanti per una integrazio­ne compiuta». Ciò che si chiede è equità. «Non chiediamo scorciatoi­e preferenzi­ali e pietistich­e, tuttavia chiediamo pari opportunit­à — rimarca infine l’associazio­ne — E le pari opportunit­à passano attraverso la dotazione dei posti di lavoro di idonee attrezzatu­re capaci di offrire al disabile occupato la compensazi­one del suo deficit, così da realizzare un’integrazio­ne piena».

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