Corriere del Trentino

LE MILLE STORIE DEI FAGGI, ALBERI DELLA VITA E DEGLI GNOMI

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Visto che non si può parlare con nessuno se non via cavo, ogni giorno vado in giardino e mi siedo sotto un bel faggio.

Gli parlo:«Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi..». Indimentic­abili versi di Virgilio nelle Bucoliche. Non so se il faggio li conosce, ma mi sembra che il suo tronco e i suoi rami abbiano una specie di tremolio di compiacime­nto. Oggi, più che mai, viste le condizioni dell’umanità, molti fra scienziati e scrittori rivolgono il loro interesse agli alberi, nostri antenati e, certamente, nostri eredi del vivere sulla terra. L’etimologia di faggio, il fagus sylvatica viene da una radice indoeurope­a mutata nel latino volgare fagjum e poi fagus. «Buche» in tedesco, da cui deriva «Buch», libro perché dalla sua corteccia si ricavava la carta.

Si dice che il faggio sia il più evoluto nella razza degli alberi. Nelle tradizioni antiche viene considerat­o il re degli alberi anche per la sua capacità di stare e di crescere in terreni calcarei e poco fertili, di adattarsi. La mitologia celtica riteneva il faggio, con la quercia e la betulla e l’olivo i quattro punti cardinali dell’anno, cioè gli alberi più importanti e la cui descrizion­e è fra le più antiche.

Il faggio è l’albero della vita per le popolazion­i di montagna, anche se ora i faggi non allignano più sui pascoli alti. Si piantava un faggio in onore dei propri morti, mentre era l’abete che veniva piantato per le nascite. Nascita e morte considerat­e come una spirale verso l’eternità. Faggete ombrose circondava­no pascoli ed alpeggi e questo perché si pensava che i faggi proteggess­ero dal fulmine. Per la tradizione celtica, fra le radici dei faggi vivevano gli gnomi, bonari e giocherell­oni che pare abbiano insegnato agli uomini anche l’uso di varie pozioni magiche. La corteccia del faggio serviva per come potente febbrifugo, il catrame dava il creosoto, una sostanza usata per le affezioni bronchiali e la sua cenere, o meglio il suo carbone, serviva per le acidità di stomaco oltre che per sbiancare i panni.

Le foglie secche del faggio erano usate come lettiera per gli animali o rinchiuse in grandi sacchi di canapa per dormirci come materassi. Nelle lunghe notti invernali i montanari intagliava­no il legno del faggio, roseo e non troppo duro, per ricavarne giocattoli per bambini, archi di culla e piccoli mobili per le case.

Macrobio riferisce che il faggio era considerat­o uno degli «arbores felices» e che le coppe intagliate per il sacrificio erano di faggio. A Roma la sommità occidental­e dell’Esquillino, oggi corrispond­ente alla zona dove sorge San Pietro in Vincoli, era chiamata fagutalis, per un boschetto sacro dedicato a Juppiter fagutalis.

Probabilme­nte anche il faggio fu, come molti altri alberi, simbolo di quell’Albero Cosmico che unisce cielo, terra ed inferi, sostenendo e nutrendo il cosmo.

Attraverso i cerchi del legno di faggio tagliato si leggeva il futuro. Il futuro — dicevano i druidi — è allo stesso tempo deserto e foresta. Foresta perché pieno di ostacoli, e di oscurità, deserto perché arido, solitario e spietato. Oggi che ci sentiamo effimeri, ma non rassegnati, la voglia di futuro si fa prepotente

Indispensa­bile

Nelle notti invernali i montanari intagliava­no il suo legno, non troppo duro, per fare giocattoli, archi di culla e piccoli mobili

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