È Un ragazzo, due ragazze e quegli amori perduti fra dolore, pianti e risate
Arriva «Left(Lovers)», pièce di tre giovani talenti
dedicato a chiunque abbia vissuto sulla sua pelle il «mal d’amore» dopo una storia finita per volontà altrui lo spettacolo teatrale in scena questa sera, online alle 21, per il cartellone «virtuale» del Centro Servizi culturali Santa Chiara selezionato dal bando promosso dal Centro Santa Chiara assieme al Teatro Stabile di Bolzano e al Coordinamento Teatrale Trentino. Il sipario si aprirà, in streaming sul sito e sul canale youtube dell’ente trentino, per ospitare
Left (L)over, una co-produzione tra Scenari Improvvisi, la compagnia La Petite Mort Teatro ed Evoé!Teatro, di Rovereto.
Uno spettacolo che nasce dalla creatività di tre amici e compagni di accademia, tutti under-30: il giovane drammaturgo Tommaso Fermariello, vincitore premio nazionale Tondelli Riccione 2019, la regista Martina Testa e l’attrice nonesa Emilia Piz. Già segnalato con la menzione speciale dalla giuria del premio nazionale «Giovani Realtà del Teatro», il dialogo affronta in modo ironico le varie fasi della fine di un amore.
«Lo spunto da cui siamo
Forse siamo riusciti a rappresentare il punto più basso che si può toccare cercando di vedersi dal di fuori per sorriderne insieme
partiti è stata la fine dei nostri primi grandi amori: il mio, quello di Emilia e quello di Tommaso -—racconta la regista —. Parliamo del primo grande amore adulto, quello da cui pensi che non ti risolleverai mai. Tutti i lutti amorosi sono caratterizzati da tanta sofferenza e disperazione e abbiamo scoperto che esistono delle fasi standard: la negazione, la contrattazione, la tristezza, la rabbia e infine l’accettazione. Poi, certo, ci sono differenze individuali: io ho vissuto una rabbia enorme senza quasi negazione, mentre Emilia dopo quasi tre mesi nella sua testa era ancora fidanzata».
In scena l’attrice di Cles è sola, accompagnata dalla una voce fuori campo della regista. «Il mio personaggio, “Lei”, viene lasciata da un “Lui” di cui è follemente innamorata e per resistere e affrontare la sofferenza si rifugia nella clinica Amorex che promette di anestetizzare la sofferenza amorosa e di far guarire nel più breve tempo possibile — anticipa Emilia —. La voce esterna guida alla “lettura” dello spettacolo mentre sul palco io sono soggetto e oggetto. Divento di volta in volta uno di quegli oggetti che rimangono alla fine una storia d’amore: biglietti del treno, fazzoletti di casa, calzini sotto le coperte, una t-shirt... Tutto quello che resta a ricordare momenti particolari». Aggiuge Martina: «Ci siamo divertiti a creare una lingua per ogni oggetto, un linguaggio che riuscisse a esprimere in modo immaginifico le sensazioni di quell’oggetto dal suo punto di vista», ammette Martina.
A conquistare pubblico e critica l’ironia della pièce. «Credo che la capacità di ridere di noi stessi abbia fatto colpo — ammette la regista —. Forse siamo riusciti a rappresentare il punto più basso che può toccare un essere umano nel momento in cui soffre, ma cercando di vedersi dal di fuori per sorriderne insieme». Il registro è chiaro dalle prime battute. Rivolgendosi al pubblico e indicando la paziente, la voce fuori campo chiede di «non fornire cibi, bevande o false speranze».
D’altronde, come spesso accade, “lei” è bravissima a illudersi da sola quando si racconta che «non è che non mi ama più, “Lui” mi ama troppo: in questo momento sta soffrendo e mente a se stesso». Salvo poi ripiombare nella disperazione: «Quante volte mi ricapiterà di sentirmi così nella vita? Quanti grandi amori mi aspettano? Due? Tre? Quattro, se sono fortunata».