«L’ho uccisa, volevo i soldi»
La confessione choc del pastore che ha colpito a martellate Agitu. «Ho sbagliato, ora merito di morire»
Ha raccontato tutto davanti ai carabinieri. E ha confessato l’omicidio dell’imprenditrice etiope Agitu Ideo Gudeta. Suleiman Adams, arrestato per omicidio volontario, ha ripercorso la mattinata di martedì. «L’ho uccisa, ora merito di morire» ha ripetuto ai militari. Cinque-sei colpi alla testa, come conferma un primo esame effettuato sulla salma ieri pomeriggio dalla dottoressa Giovanna Del Balzo, dell’Istituto di Medicina legale di Verona, che ha eseguito l’autopsia sul corpo di Agitu. Il movente sarebbe legato a questioni economiche. «Lei non voleva più parlarmi», avrebbe detto il 32enne originario del Ghana.
Lo sguardo rivolto in basso, il volto tra le mani. «Ho ucciso e quindi merito di morire. Sono pronto ad essere ucciso per quello che ho fatto». Sono le 22. 25 circa . Suleiman Adams entra nella stazione dei carabinieri di Pergine accompagnato dai militari della compagnia di Borgo Valsugana e dai colleghi del reparto operativo di Trento. Sono trascorse più di 14 ore dall’agghiacciante delitto, da quando ha afferrato il martello appoggiato a un termosifone e ha colpito a morte Agitu Ideo Gudeta, l’imprenditrice etiope, conosciuta e stimata in tutto il Trentino, una donna coraggiosa e forte, titolare dell’azienda agricola «La capra felice», per cui lavorava. Cinque sei colpi alla testa, come conferma un primo esame effettuato sulla salma ieri pomeriggio dalla dottoressa Giovanna Del Balzo, dell’Istituto di Medicina legale di Verona, che ha eseguito l’autopsia sul corpo di Agitu. Suleiman, arrestato nella notte per omicidio volontario, non tenta di giustificarsi, davanti ai carabinieri racconta l’agghiacciante verità, quei minuti terribili all’interno della casa di Agitu, in località Plankerhoff, a Frassilongo. Il peso del terribile gesto e la consapevolezza di non poter più tornare indietro.
«Mi volevo uccidere per quello che ho fatto, ma non ho trovato il veleno con cui volevo suicidarmi. In questo momento preferirei morire sono pronto a essere ucciso per quello che ho fatto. Ho ucciso un essere umano è giusto che io muoia», spiega ai militari che lo hanno sentito a sommarie informazioni. Dichiarazioni spontanee, un racconto dettagliato, choccante, che il pastore ghanese di 32 anni ha ripetuto anche davanti al some». stituto procuratore Giovanni Benelli. Parla solo inglese Suleiman, nonostante sia in Trentino da qualche anno, comprende poco la lingua italiana e non riesce a sostenere una conversazione. Seduto accanto all’interprete e al suo avvocato, Fulvio Carlin, il giovane continua a parlare. Racconta minuto per minuto la tragica mattinata iniziata come tante, con un caffè che si stava preparando nella cucina della casa di Agitu. E poi quel cruccio che lo tormentava da tempo, uno stipendio arretrato che l’allevatrice etiope non gli avrebbe pagato. Aveva bisogno di quei soldi per i suoi due figli che vivono in Ghana. È bastato questo a scatenare la furia omicida. Prima di allora non c’erano mai stati screzi. In passato l’uomo aveva già lavorato per l’allevatrice, poi circa due mesi fa era stato richiamato, ma mancava una mensilità. Gli arretrati non pagati, forse mille euro o meno, il pastore non parla di cifre ma spiega di aver più volte sollecitato Agitu. «Da tempo avevo chiesto i soldi che mi doveva per il lavoro svolto — racconta — ma lei ha sempre rifiutato di darmeli, poi a un certo punto rifiutava di parlare con Il giovane pastore parla di messaggi, telefonate assidue. Contatti costanti e sms per sollecitare il pagamento che ora i carabinieri stanno verificando sul cellulare dell’uomo, che è stato sequestrato. Martedì mattina il pastore, che vive in una stanza al piano terra, sotto l’appartamento di Agitu è salito nella casa della donna, di cui aveva le chiavi, per prepararsi il caffé. Sono le 7.30. La vede e chiede di nuovo i soldi. «Come sempre lei è scappata in camera da letto, rifiutandosi di parlare con me», continua a raccontare. Non si incontravano spesso perché facevano orari diversi e gran parte della giornata il pastore la trascorreva nella stalla a cinque chilometri di distanza con le sue capre, la stessa in cui è stato trovato dai carabinieri martedì pomeriggio. Quando è uscito dalla casa si è reso conto di aver ucciso la donna ed è corso alla stalla, forse spaventato. «Ho sbagliato», continua a ripetere raccontando ancora di quella terribile mattina. Dopo il caffé l’uomo era tornato nella sua stanza per prendere gli abiti sporchi e fare una lavatrice. Così è salito al piano di sopra una seconda volta e ha visto di nuovo Agitu.«Se non vuoi più che lavori per te devi dirmelo», avrebbe detto l’uomo. Poi è montata la rabbia, ha afferrato il martello e ha colpito. L’autopsia ieri ha confermato che l’arma, ritrovata dai carabinieri (poi indicata dallo stesso pastore insieme alla giacca sporca di sangue) nella cantina è compatibile con le lesioni al capo di Agitu.
La donna è stata trovata nella stanza attigua al bagno, ai piedi del letto, supina con i pantaloni e le mutandine sfilate, la porta della casa era chiusa, quindi era chiaro che