Salvotti, l’architetto filosofo: ho portato il postmoderno
A Trento apre la mostra dedicata al noto architetto «filosofo» che si è ispirato a Le Corbusier «Ho portato qui il Postmoderno»
Eterno, tradizione, stile e modernità nelle opere dell’architetto trentino Gian Leo Salvotti de Bindis. E tre tempi, passato, presente, futuro, come una cosa sola, nella convinzione che «non tutto è diventato tecnica, l’architettura contemporanea può ancora perseguire gli ideali di bellezza e di verità».
Attorno a questo fin dagli anni Sessanta ruota l’estetica di Gian Leo Salvotti de Bindis, una delle figure di spicco dell’architettura italiana della seconda metà del ‘900. A lui la Galleria Civica di Trento rende omaggio con la mostra
Gian Leo Salvotti de Bindis fra Progetto e Utopia.
Fino al 2 maggio, la mostra propone modelli, disegni, progetti, fotografie e documenti d’archivio dell’architetto e intellettuale trentino. Formato all’Università di Firenze con Adalberto Libera, di cui afferma di ricordare più il carisma che la capacità didattica di trasmettere un’impronta stilistica, Salvotti lega gli esordi professionali allo studio di maestri contemporanei come Louis Kahn, Le Corbusier, Mies van der Rohe, Frank Lloyd Wright. Importanti anche i suoi viaggi tra Europa, Americhe e Asia, per prendere visione delle nuove tendenze architettoniche, e dagli anni Novanta, la sua vicinanza al pensiero filosofico di Emanuele Severino.
«Ho messo insieme uno stile che definirei “plasticismo nazionale”. Invece di mettere in evidenza le strutture, l’acciaio, il cemento, ho cominciato a comporre i miei progetti con forme che erano esclusivamente figurative e grazie a una committenza privata che mi vedeva bene, ho potuto costruire diversi edifici. E così, tra gli anni Sessanta e Settanta, ho portato il Postmoderno a Trento, il che in sostanza significa riferirsi alle architetture del passato», spiega Salvotti.
È stato in occasione della partecipazione alla collettiva
Almanacco 70, allestita alla Civica nel 2017, che la responsabile della galleria Margherita de Pilati ha notato come «la visione di Salvotti si nutra non solo di architettura ma anche di filosofia. I suoi disegni sono più d’artista che di architetto – osserva -. Una figura che mi è sembrato importante analizzare e valorizzare».
Scaturisce da qui l’idea della mostra, che de Pilati ha curato con Roberto Festa e Gabriele Lorenzoni.
Colpita dalla ricchezza documentaria presente nello studio di Salvotti, in particolare dai numerosi plastici in carta, cartone, cartoncino, la preoccupazione di de Pilati è stata innanzitutto quella di mettere al sicuro un patrimonio tanto fragile. Da qui il suggerimento al professionista di donare l’archivio al Mart di Rovereto, di cui la Galleria Civica è parte.
Perfezionata la donazione, ora l’esposizione offre uno sguardo su alcuni dei progetti più emblematici realizzati da Salvotti per il Trentino: dai condomini di via Gocciadoro e via Bezzecca (1960), alla sorprendente Casa Galina di Calceranica al Lago (1962). Ancora, Condominio Italia ’68, in via Torre Verde, l’edificio polifunzionale Il Fantasma del Castello a Martignano (1976). Fondamentale in questo percorso il progetto per la Facoltà di Ingegneria (1984-1992), sulla collina di Povo.
I plastici testimoniano anche visionarie intuizioni, «fantasie di edifici impossibili da realizzare. Una sorta di utopia dell’architettura che appartiene a tutto il suo percorso», continua de Pilati.
Ad accogliere i visitatori è la riproposta della mostra realizzata nel 1979 alla Galleria Argentario di Trento, dal titolo La griglia flessibile per la città soffice. Si prosegue con una sala dedicata ai concorsi cui Salvotti ha partecipato, ponendo l’accento sulle sue geometrie.
Oltre ai progetti realizzati, al piano inferiore si narra anche la Trento immaginata, sezione in cui spicca il progetto della «Torre antichissima e modernissima», pensata per piazza Battisti: una torre vetrata di cento metri sormontata da una fiaccola che possa diventare il simbolo della città, come lo è la Tour Eiffel per Parigi. Effemeridi, il filmato di Michele Dal Bosco, prodotto da FilmWork, conclude infine la mostra con immagini, parole e suggestioni dal mondo salvottiano.