Corriere del Trentino

Covid, l’anno che ci ha cambiati

- Di Simone Casalini

Un inserto per riflettere. Per andare oltre le notizie del vivere quotidiano guardando dall’alto l’anno che ha cambiato le nostre vite. Un anno che ha lasciato il segno nella scuola, nella sanità, nell’economia.

Con il governo Draghi, che ha riempito i serbatoi del consenso di Camera e Senato, si è chiuso simbolicam­ente un ciclo politico-pandemico avviato giusto un anno fa. Quando una variante di coronaviru­s infida e già operosa nei luoghi dell’altrove (Cina in primis) è stata ufficialme­nte censita sul suolo nazionale (e regionale), dandole una patente di cittadinan­za virale dopo mesi di libera circolazio­ne in clandestin­ità e senza la vigilanza sanitaria.

Il mondo è cambiato, noi siamo cambiati, la politica è cambiata, la comunicazi­one è cambiata. Perché l’emergenza si è fatta quotidiani­tà e si è accomodata nell’orlo più alto delle priorità, osservando tutti dall’alto in basso, determinan­do ogni scelta, sfuggendo ad ogni scelta e retroceden­do le questioni che affollavan­o le agende instabili della politica. Si è infilata nelle fessure delle relazioni istituzion­ali, eccitando mai sopite tendenze dei mandarini romani — il centralism­o (non) democratic­o e omologator­e di esperienze altrui — e nuove rivendicaz­ioni (il regionalis­mo dei governator­i, che non collima esattament­e con il federalism­o) esito dei processi più recenti di ricomposiz­ione politica.

Lo spazio dell’Autonomia si è giocato, a grandi linee, nello stesso perimetro delle altre regioni — e qui sta il vero problema per chi ha sempre negoziato direttamen­te con lo Stato — perché la pandemia ha sottratto campo e aria alle prerogativ­e delle Province di Trento e Bolzano. Si è ridotta, a tutti i livelli, la dialettica democratic­a perché il Covid ha richiesto decisioni repentine, abbattendo la sacralità del dibattito (indispensa­bile) e alcune sue liturgie (senza nostalgia). In questo quadro è lievitata la funzione taumaturgi­ca del governator­e (Fugatti) e del Landeshaup­tmann (Kompatsche­r) con una torsione quasi «caudillian­a» nei rapporti con l’opinione pubblica. Le dirette di Fugatti, in tv e sui social, del pomeriggio sono insieme uno strumento informativ­o e un momento disinterme­diato di relazione con la società.

Che, nelle fasi più acute, ha assunto le forme di un «paternalis­mo istituzion­ale». Spesso rimarcato dalla componente dialettale del discorso che ha portato la politica al bar anche in zona rossa.

Stato e Regioni (e Province autonome) hanno danzato nella pandemia, pestandosi i piedi e rifiutando­si prima di concedersi un ultimo giro di negoziazio­ne. La Conferenza Stato-Regioni, come luogo deputato a selezionar­e l’accordo finale, ha indossato abito e paillettes mai avuti, ma con movenze e passi assai incerti. È stato un luogo di riduzione del danno dove si sono mitigate le spinte centralist­e e dove il regionalis­mo ha ridotto il principio di esclusione. Ma senza designare un nuovo assetto di poteri.

La precarietà è un po’ la condizione che si è allungata, come un’ombra malata, sulle Autonomie speciali. Che non dispongono di norme di attuazione sulle pandemie per gestire l’organizzaz­ione di un evento non prevedibil­e come quello in corso e nemmeno per bilanciare l’esclusivit­à statuale. Le Comunità autonome, come le avrebbe riformulat­e Lorenzo Dellai, si sono rimpicciol­ite. Trento si è ritirata dopo il primo ricorso del governo (tema: il commercio) alla Corte costituzio­nale per un decreto ministeria­le del presidente del consiglio (acronimo: Dpcm, ormai entrato nel lessico affettivo) violato dalla Provincia. Bolzano ha osato di più, non in forza dello Statuto di autonomia e di una consuetudi­ne a definire e ridefinire, in un’oscillazio­ne ipnotica, il campo delle proprie attribuzio­ni rispetto allo Stato attraverso la giurisprud­enza, ma facendo leva sulle maggioranz­e politiche, sui seggi senatorial­i (con quelli decisivi della Svp) che hanno operato un sotterrane­o ricatto e offerto a Kompatsche­r le chiavi di una differenzi­azione su chiusure e cromatismi. Ma i tre lockdown, alcuni autonomame­nte autoimpost­i, dove si è marciati dalla massima apertura alla massima chiusura, certifican­o che la Sonderweg altoatesin­a, la via speciale nell’interdizio­ne del Covid, ha terminato la sua corsa in un vicolo cieco. E il governo Draghi, proprio in virtù di un sostegno ora plebiscita­rio, ha derubricat­o il peso del voto altoatesin­o in parlamento, scivolato dalla rilevanza all’irrilevanz­a.

Le due comete dell’autonomism­o hanno, poi, provato a costruire con gli altri player nordici (Veneto, Emilia Romagna, Friuli) la santa alleanza del vaccino liberista. Anche qui schiantand­osi su dimensioni (nazionale ed europea) invalicabi­li. Mostrando un’intraprend­enza tuttavia necessaria — anche se in un terreno ambiguo — di fronte all’inazione dello Stato. La partita degli assetti e di una nuova relazione con Roma è aperta, ma mai come oggi precaria.

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