Corriere del Trentino

Reparti convertiti e tamponi

La pandemia ha (anche) trasformat­o l’assistenza cambiando le prassi: a marzo e novembre sospese le visite non urgenti, ma preservata l’oncologia Segnana: «La priorità è vaccinare le categorie fragili per alleggerir­e gli ospedali»

- di Marika Damaggio

Aripercorr­ere la succession­e degli eventi quasi sembra passato molto più di un anno. Fissare un controllo banale, presentars­i senza appuntamen­to a un prelievo del sangue, fare visita a un amico ricoverato per un piccolo intervento di routine, passare dai nonni in casa di riposo senza preavviso, precipitar­si col cuore in gola in ospedale per conoscere una nuova e piccola vita. Abitudini sospese, ormai fioche nella mente. E nuove abitudini. Prenotare un tampone rapido in una farmacia, per esempio. Del resto negli ultimi dodici mesi a cambiare, profondame­nte, è stata (ed è) anche la sanità.

In principio, a gennaio 2020, ci furono gli isolamenti fiduciari all’ex hotel Panorama di Sardagna dei cittadini cinesi di ritorno dal Capodanno in patria, poi un padiglione per eventuali contagi alle Viote (alla fine scarsament­e utilizzato) e in men che non si dica i primi ricoveri. Dal Covid hospital di Rovereto, inizialmen­te unico nosocomio dedicato al trattament­o dei pazienti colpiti dal virus, al coinvolgim­ento a raggera dell’intero sistema ospedalier­o trentino. Uno sforzo organizzat­ivo che s’è allentato solamente nei mesi estivi, quelli in cui la pandemia ha morso meno.

Il racconto della gestione sanitaria della pandemia in Trentino parte proprio da fine febbraio 2020. È trascorso esattament­e un anno da quando, per la prima volta, le cronache hanno consegnato a futura memoria le prime disposizio­ni di contenimen­to del contagio. Il 21 febbraio la task force provincial­e decide di sospendere i cortei del carnevale in corso, troppo affollati, attivando una serie di soluzioni nell’eventualit­à, a quel tempo remota, che si diffondess­ero i contagi in Trentino. In poco tempo tutto è cambiato: il primo caso di coronaviru­s in Trentino risale al 2 marzo: una donna di 83 anni di Trento. Prima di lei i casi dei quattro turisti lombardi trovati positivi al tampone la settimana precedente: una famiglia di tre persone in vacanza a Fai della Paganella e una donna in villeggiat­ura a Dimaro. La stagione sciistica del resto proseguiva ed è proseguita anche nell’ormai famoso weekend affollato del 7 marzo. E in poco tempo il virus si è diffuso in tutto il Trentino. Da inizio pandemia a oggi i contagi sono stati 32345 e 1259 i decessi. Quanto ai ricoveri, attualment­e sono 117 nei reparti non intensivi (per una saturazion­e dei posti letto pari al 29%, la soglia d’allerta è il 40%) e 27 in terapia intensiva (per una saturazion­e del 28% e la soglia critica è del 30%). Il quadro appare quindi in migliorame­nto rispetto a inizio gennaio, quando la saturazion­e nei reparti non Covid ha toccato picchi del 60%, la peggiore d’Italia.

«L’evoluzione dello scenario epidemico nelle fasi critiche, a marzo durante il lockdown e a novembre — spiega Stefania Segnana, assessora alla sanità — ha comportato la sospension­e delle visite specialist­iche, tranne quelle con priorità Rao A e B». Ora sono riprese, ma per diversi mesi l’aumento di ricoveri Covid le ha bloccate, riconverte­ndo molti reparti (come ortopedia e geriatria). «La strategia è stata quella di recuperare risorse di personale per gestire i ricoveri Covid e quelli urgenti e, soprattutt­o nella seconda ondata, abbiamo applicato un principio di flessibili­tà: ogni giorno in base ai dati aumentavam­o di conseguenz­a il fabbisogno di posti letto per garantire sempre spazio per altre degenze». Infatti, ricorda l’assessora, se nel lockdown della primavera 2020 si sono completame­nte fermate le attività di traumatolo­gia (niente incidenti, per esempio) a novembre era necessario garantire sempre risposte sanitarie all’imprevisto.

Non solo. «Sin dal principio — prosegue Segnana — abbiamo riorganizz­ato e potenziato il servizio di televisita e teleconsul­to, nell’ottica di salvaguard­are la salute della popolazion­e, specie nei momenti di difficoltà di accesso in presenza alle diagnosi e alle cure». Questa prassi è stata introdotta anche con la pediatria. «Certo — spiega Segnana — non sempre può essere uno strumento ottimale, ma in alcuni casi sì ed è giusto ampliare l’offerta».

A caratteriz­zare la gestione delle fasi più intense del contagio è stata la distribuzi­one dei posti nei vari ospedali. «Creando un coordiname­nto per non mandare mai in sofferenza singole strutture», rimarca l’assessora. Certo, da un anno a questa parte nei nosocomi è cambiato tutto: non si entra come un tempo per visitare i propri cari. Poi nei reparti di ostetricia e ginecologi­a i papà non hanno libero accesso. «Ma va detto — ripete l’assessora — che le ostetriche sul territorio hanno sem

"Ogni giorno con flessibili­tà abbiamo risposto ai bisogni di ricovero, uno sforzo continuo per i sanitari

pre visitato le mamme a domicilio, comprese quelle positive». Ora la priorità, sottolinea Segnana, è vaccinare. «Soprattutt­o le categorie fragili che sono più a rischio ospedalizz­azione». Questo, spiega, sarà un primo passo verso la normalità. «Ma ad alleggerir­e l’attività delle strutture ci sono state anche le Rsa intermedie, come Volano, Tione, Ala, Dro che sono servite per la riabilitaz­ione dei pazienti».

Un capitolo a parte meritano a questo punto le case di riposo: colpite duramente nella prima ondata, meno nella seconda, restano luoghi simbolo della pandemia per l’elevata mortalità censita mese dopo mese. La data di riferiment­o per iniziare a ripercorre­re gli eventi è quella del 4 marzo: alle 23.50 della stessa sera, la direzione di Upipa (l’Unione provincial­e istituzion­i per l’assistenza) invia una comunicazi­one a tutte le sue strutture: «Vietato a familiari, visitatori, volontari, assistenze private e tirocinant­i che non afferiscon­o a profession­i sanitarie, di accedere alla strutture», recita il testo. Stessa posizione adottata dalle strutture del Gruppo Spes.Due giorni dopo esplode l’epidemia nelle Rsa. È il 6 marzo e si registra il primo caso nella struttura «Valle del Vanoi» di Canal San Bovo. Due giorni dopo è stato riscontato un nuovo caso nella Rsa di via Pive a Pergine Valsugana. Da quel momento le case di riposo diventano luoghi impenetrab­ili e a rischio contagio.

In quella prima fase, però, la metà delle strutture resta indenne e, per tutelarle, nasce la prima struttura in Italia per le degenze degli ospiti positivi. A Volano vengono così trasferiti gli anziani contagiati. Una manna. Nella seconda ondata i focolai divampano così meno violenteme­nte. Ora però si attende di uscire dal tunnel: ormai pressoché del tutto prive di contagi, le strutture stanno terminando anche la seconda somministr­azione del vaccino e immaginano la ripartenza delle visite dei familiari. L’epilogo dopo un anno di solitudini.

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Infermieri salutano in un rarissimo momento di pausa all’interno di un ospedale
(AnsaPretto) Resistenza Infermieri salutano in un rarissimo momento di pausa all’interno di un ospedale
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Da sinistra le prime visite nelle case di riposo dopo la lunga chiusura del primo lockdown e l’ospedale da campo montato a Marco di Rovereto ma mai usato (Foto Ansa-Pretto); un infermiere pettina una paziente in rianimazio­ne a Trento (Foto Piero Falco); infine l’arrivo del vaccino (Pretto)
Odissea Da sinistra le prime visite nelle case di riposo dopo la lunga chiusura del primo lockdown e l’ospedale da campo montato a Marco di Rovereto ma mai usato (Foto Ansa-Pretto); un infermiere pettina una paziente in rianimazio­ne a Trento (Foto Piero Falco); infine l’arrivo del vaccino (Pretto)
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