L’universo giovanile senza baci
La scuola a distanza fa emergere fobie scolari. «Il 65% non è felice»
Non c’è più la sigaretta fumata di nascosto dietro un albero del cortile. Non c’è il bacio strappato nel corridoio al ragazzo carino della quarta C. Non c’è più nemmeno la corsa rumorosa giù dalle scale, tra pacche sulle spalle e abbracci alla fine della settimana. Non c’è per i più piccini il compagno di fila, cui stringere la mano dopo aver lasciato quella di mamma e papà. Piccoli gesti che facevano parte di un universo sociale per gli adolescenti, sostituiti dalla mascherina, dalla disinfezione delle mani ripetuta, ritmata, con il gel, dall’entrata scaglionata, da uno schermo frammentato di pc che appiattisce gli studenti in tante piccole finestre di volti tutti uguali. «La pandemia — ragiona Roberta Bommassar, presidente dell’Ordine degli psicologi trentini — ha rivoluzionato i pensieri e il modo di porsi verso l’altro: riscontriamo un incremento dei ragazzi con disagi».
E questo nonostante gli sforzi fatti. La giunta provinciale ha stanziato oltre 40 milioni extra per la scuola quest’anno, che sono stati necessari per potenziare i trasporti, le classi (+ 233) e le cattedre (+ 367) eil personale tecnico amministrativo (+ 138) aperte da metà settembre a 70.162 studenti, di cui 21.273 iscritti alla scuola secondaria di secondo grado e 6.005 nella formazione professionale. In Alto Adige sono 76.524. Ma non è bastato: il 9 novembre (è vero, alcuni giorni dopo il resto di Italia) le scuole superiori trentine chiudono le porte sotto il peso crescente dei contagi, alimentato da un sistema di trasporto ancora troppo carico. Ritorna così l’esperienza della didattica a distanza. Solo il 7 di gennaio, con un ulteriore incremento di bus e treni si torna a scuola, ma al 50 per cento del tempo, a turno dunque sia a Trento che a Bolzano (dove però si richiude l’8 febbraio). «È chiaro — ragiona Viviana Sbardella, sovrintendente scolastica di Trento — che l’ideale sarebbe che i ragazzi potessero andare a scuola sempre. La didattica a distanza, riguardando (al di là delle classi poste in quarantena, ndr) solo i più grandi ha consentito di proseguire con un livello di apprendimento accettabile». Parte del corpo docente lamenta le lacune accumulate dai giovani. «Per dirlo bisogna avere elementi certi: il nostro comitato di valutazione sta svolgendo un rilevamento per capirlo. Di certo stanno vivendo da un anno una situazione anomala e al di là della quantità di lezioni perse è venuta meno l’enorme mole di progetti che le nostre scuole mettevano in campo».
Per Pierluigi Cristofolini, 18 anni, rappresentante d’istituto al Marie Curie di Pergine «la Dad è una pezza posta a una falla occorsa al sistema, non la possiamo nemmeno immaginare come un’evoluzione della didattica. Devo dire che la maggior parte degli studenti apprezza il rientro al 50%, perché consente di avere anche del tempo per sé. Ma in ogni caso rompe la routine: la didattica a distanza tende a spostare le relazioni in universo tecnologico, astratto. E qui manca, anche per le regole imposte dal Covid, quel contatto fisico, quell’intimità della relazione: è un anno che siamo limitati e penso che i ragazzi con maggiori difficoltà sociali faranno fatica a uscire da questo universo».
La limitazione dunque è la cifra di questa generazione di under 18 costretti a fare i conti con qualcosa che nessuna generazione di coetanei del dopoguerra aveva dovuto affrontare. Uno tsunami che «porta il 65 per cento degli adolescenti ad affermare di sentirsi insoddisfatto della propria vita, contro il 35 per cento dei tempi normali» spiega Bommassar. Tecnicamente, soprattutto per coloro che hanno sviluppato dei disagi, «è un trauma cumulativo: una serie di micro traumi che si sommano e rafforzano a vicenda». Eh sì perché «alla prima ondata i ragazzi avevano retto bene: pur essendo il virus un pericolo diverso, invisibile e incontrollabile, si pensava che la situazione anomala sarebbe durata per un tempo limitato e quindi c’è stato anche un godere del rallentamento dei ritmi frenetici». E invece no. Il nemico non accenna ad andarsene. E quindi mucchietto di sabbia su mucchietto di sabbia si forma una montagna: «Può bastare un granello a farla crollare».
E quelli che crollano sono sempre di più. «Riscontriamo — prosegue la presidente — un incremento dei disagi, dai disturbi dell’alimentazione all’esplosione delle difficoltà scolastiche, dai disturbi della concentrazione e dell’attenzione legati anche all’uso massiccio della Dad a quelle che si chiamano fobie scolari. Per una fetta di ragazzi il rientro in classe al 50 per cento è stato faticosissimo». Gli adolescenti sono stati forse «la fascia più penalizzata» privata «dell’attività fisica legata al tempo libero che rappresentava una valvola di sfogo, dell’intimità e della sessualità, fortemente minate e del gruppo, che per gli adolescenti è un riferimento fondamentale, perché inizia a sostituire la famiglia». Il rapporto con il corpo, che è centrale per questi ragazzi, viene sottoposto a una rivoluzione: «Dobbiamo pensare — ragiona Monia Pizzini, psicologa dell’azienda sanitaria di Trento — che per molti non è facile accendere una telecamera, mostrare il proprio volto, far entrare tutti i compagni nella propria casa. Anche al di là della pandemia, l’adolescente di oggi che prova un disagio rivolge l’attacco contro di sé, piuttosto che contro l’altro come avveniva in passato». E torna l’importanza della scuola perché «non è solo un luogo di apprendimento ma un processo collettivo, si impara anche dall’altro e con l’altro».
Ma sotto le macerie ci sono i semi per un tempo nuovo. «Ci sono tanti giovani — spiega ancora Pizzini — che hanno trovato buona capacità di adattamento e riescono a fronteggiare il momento». Al mondo adulto il compito di restituire loro un bene prezioso spesso colpevolmente sottratto: «La speranza nel futuro». Anche Bommassar si definisce «un’inguaribile ottimista». E la spinta gliela danno ancora i giovani: «È un’esperienza dolorosa, ma maturativa. Molti hanno capito l’importanza dei piccoli gesti e del non dare nulla per scontato». Per far germogliare i nuovi semi però è necessario «investire sui bisogni psicologici dei ragazzi».
"Lo studente Ci manca il contatto fisico, l’intimità della relazione. E la Dad è solo una pezza