LA NOMINA CHE VA TUTELATA
Nel periodo nel quale si procedeva a formalizzare la delega dello Stato alla Provincia per conferirle la competenza sull’Università di Trento (non, si badi, una competenza generale in materia universitaria), anche chi (come il sottoscritto) comprendeva e condivideva il senso dell’iniziativa era ben consapevole che prima o poi, per le dinamiche imprevedibili del sistema politico, si potesse concretizzare anche in Trentino un governo provinciale meno illuminato di quello che allora si trovava a dirigere l’azione pubblica provinciale. E, puntualmente, quell’anticipazione di un evento allora solo possibile si è trasformata in realtà. Dopo la mossa della sollecitazione ad altra Università — fatta tutta in sordina, volta a creare il fatto compiuto — per far partire, con abbondanti risorse provinciali, la Facoltà di Medicina a Trento cui l’Università trentina ha reagito prontamente (e non avrebbe potuto farne a meno, sia pure obtorto collo), dopo la cessione a terzi di una parte di alloggi originariamente destinati agli studenti, si è ora confezionato un nuovo passo che inequivocabilmente esprime freddezza (se non ostilità) nei confronti dell’ateneo. Si tratta della trasformazione della prevista «intesa» con l’Università circa la nomina del presidente dell’Opera universitaria in semplice «previa informazione» al rettore.
Rettore che rimane in grado di esprimere un parere non vincolante e dunque a dover eventualmente subire una nomina istituzionalmente sgradita. È tipico dei populismi avere fastidio per la scienza e la cultura, per le donne e gli uomini che le praticano, anche perché ritenuti meno disponibili a cadere nelle trappole della loro demagogia spicciola: del resto, l’innata ostilità per i «professoroni» fa parte dell’orientamento consapevole di chi intende lucrare sull’ingenua diffidenza di quei segmenti sociali che, senza colpa, non hanno dimestichezza, né personale né familiare, con il mondo accademico; di quelle persone, cioè, che scelgono la strada dello studio e della ricerca e della condivisione del risultato del proprio impegno con le giovani generazioni per garantire loro un esito professionale appetibile. Scuola e università sono da sempre al cuore del rapporto di solidarietà intergenerazionale del quale si parla ora come si trattasse di una grande novità. L’Opera universitaria di Trento non è un’agenzia di affittacamere o una mensa che si limita a sfornare pizze (ottime) e pasti caldi o freddi. Queste ultime sono di fatto attività collaterali. In realtà, è un ente essenzialmente culturale, che cura il benessere sociale e intellettuale dei giovani, che ne promuove la creatività attraverso iniziative che agiscono in campo teatrale, musicale, sportivo, sociale. È un formidabile agente di integrazione fra gli studenti (si pensi ai tanti fuorisede — dei quali si è meritatamente orgogliosi — che si avvalgono di tali iniziative) e fra questi ultimi e il territorio. L’Opera appartiene al Trentino e al suo futuro così come al Trentino appartiene l’Università. Se sono istituzioni distinte è perché così prevede la legislazione italiana. È pertanto quanto mai opportuno che il presidente dell’Opera sia riconosciuto dall’Università quale suo interlocutore diretto, dotato dell’indispensabile attenzione e della particolare sensibilità per la realtà universitaria con la quale interagire, non nei confronti della quale possa «Agire» con discrezionalità burocratica. La Provincia di Trento (come, del resto, quella di Bolzano) è sensibilissima alla sfera della propria autonomia e, in sede di revisione dello Statuto speciale, ha come legittimo obiettivo quello di essere garantita da una «intesa» con lo Stato, atteso che del diritto a essere semplicemente consultata già dispone. Solo l’intesa, rispetto al semplice previo parere, costituisce una garanzia autentica e un segnale di rispetto per l’autonomia. Ma l’autonomia provinciale, costituzionalmente garantita, non ritiene di dover rispettare l’autonomia universitaria, anch’essa costituzionalmente garantita? A chi giova mettere autonomia contro autonomia?