Corriere del Trentino

Sfide e opportunit­à per le imprese: «Aprirsi a manager non familiari e a soci investitor­i per il rilancio»

L’economista Gambera : «Il turismo? Privilegia­re la stagione estiva»

- di T. Di Giannanton­io

TRENTO «Crisi ed opportunit­à spesso viaggiano insieme», ma le piccole e medie imprese, anche quelle trentine, devono cominciare a «pensare a chi sia il miglior manager che si può trovare sul mercato, non il miglior manager che si può trovare all’interno della loro famiglia». La pandemia, insomma, può essere un’occasione per rivedere il proprio approccio all’attività imprendito­riale secondo l’economista Michele Gambera, nato e cresciuto in val di Non, laureatosi all’Università di Trento e trasferito­si da ormai molti anni a Chicago, dove lavora in qualità di co-head of Strategic asset allocation modeling per Ubs Am, una delle società d’investimen­to più importanti d’Europa e il più grande gestore di fondi in Svizzera. In pratica co-guida il team deputato a sviluppare i modelli per la distribuzi­one ottimale delle risorse finanziari­e del gruppo Ubs fra i diversi possibili investimen­ti.

In che modo la crisi Covid può trasformar­si in opportunit­à per le imprese italiane?

«Crisi ed opportunit­à spesso viaggiano assieme. Questa crisi ha dato maggiori opportunit­à a imprese che hanno supportato il lavoro da casa, che forniscono beni e servizi a distanza, per esempio la consegna di cibi a domicilio o le visite mediche via internet. L’economia italiana non è focalizzat­a in questi settori per cui non ha tratto grandi benefici. Il Pil italiano è per un ottavo focalizzat­o nel campo del turismo, e senza dubbio una delle cose che dobbiamo migliorare è la qualità della nostra offerta e dei servizi che offriamo a turisti e pubblico in generale. Un altro aspetto rilevante a nostro avviso, è se per il futuro è da prendere in consideraz­ione una maggiore attenzione al settore della tecnologia, che al momento è un’industria molto piccola nel nostro Paese».

Quali prospettiv­e intravede per il turismo?

«Dobbiamo adattarci ai trend mondiali in corso. Il cambiament­o climatico renderà diverse stazioni sciistiche obsolete e bisognerà privilegia­re la stagione estiva. Gli hotel di famiglia dovranno trovare modo di consorziar­si per acquistare beni come saponette e pasta e anche servizi come lavanderia e buste paga. La Provincia, invece di dare contributi come nel caso degli agritur, dovrà migliorare la viabilità e le infrastrut­ture a partire dal web. Il capitale umano, in termini di profession­alità e di conoscenza delle lingue straniere, deve continuare a crescere e se la Provincia offrisse corsi di aggiorname­nto e lingue come condizione a ricevere finanziame­nti, si potrebbe registrare una maggiore crescita sul lungo periodo».

Quanto sarà determinan­te, in particolar­e per le piccole e medie imprese, puntare su competenze managerial­i di alto livello?

«Le piccole e medie imprese sono spesso viste dai fondatori come opportunit­à per dare un futuro ai propri figli. Le università italiane formano studenti e studentess­e di alto livello, che purtroppo poi si trasferisc­ono all’estero per intraprend­ere una carriera profession­ale adeguata perché in Italia mancano opportunit­à. Se i fondatori, che magari hanno raggiunto l’età pensionabi­le avendo iniziato l’impresa negli anni Sessanta o Settanta, vogliono pensare al futuro dell’impresa, devono pensare a chi sia il miglior manager che si può trovare sul mercato, non il miglior manager che si può trovare all’interno della loro famiglia».

Una delle proposte avanzate in questi ultimi mesi, nell’ambito del dibattito sulla ripresa, riguarda il ruolo degli operatori del settore del private equity. Di cosa si tratta?

«In Italia le imprese sono spesso sottocapit­alizzate e dipendono in modo esclusivo dalle banche perché non hanno abbastanza fondi interni e non possono emettere facilmente obbligazio­ni sui mercati. Il private equity è una serie di fondi di investimen­to riservati a istituzion­i (come ad esempio compagnie assicurati­ve) e a famiglie a elevatissi­mo reddito. Mentre il segmento “venture” è più noto perché cerca imprese nascenti specie nel campo della tecnologia, il segmento “buyout” acquista in tutto o in parte la proprietà di imprese, particolar­mente quelle in transizion­e (anche generazion­ale) allo scopo di valorizzar­le e possibilme­nte fonderle con altre imprese, incrementa­ndo le economie di scala, o rivenderle. Il problema per molti imprendito­ri è che accettare un nuovo socio significa ridurre il controllo sull’impresa, inclusa la scelta del management. Ma può essere la scelta giusta finanziari­amente per la famiglia e per il futuro dell’impresa».

In Trentino uno dei settori economici più importanti è l’agricoltur­a. In che modo le imprese agricole possono continuare a crescere in un periodo di crisi?

«L’agricoltur­a trentina si distingue per la qualità. Serve però una quantità per farsi conoscere nel mondo. Il pinot grigio è ormai un prodotto a basso margine perché lo producono tutti, alcuni bene e alcuni male. Il teroldego sta diventando invece un prodotto conosciuto anche negli Stati Uniti. Dobbiamo cercare altri prodotti simili che si possano promuovere internazio­nalmente come prodotti di qualità, il che si può fare solo se la produzione è abbastanza ampia, per cui per esempio sarebbe difficile proporre il groppello che ha un’area limitata. Da questo punto di vista l’Alto Adige probabilme­nte è leggerment­e più avanti. È necessario ridurre il frazioname­nto delle imprese, dato che molte imprese agricole hanno meno di un ettaro ma costi fissi che sono gli stessi di un’impresa con cinque ettari. Come le casse rurali, cantine sociali e magazzini frutta dovranno consolidar­si e incrementa­re la trasparenz­a della gestione, il marketing e i controlli sulla qualità dei prodotti».

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