Alla ricerca di un nuovo orizzonte culturale
Da un anno il mondo dello spettacolo e della cultura — composto di luoghi, di persone e delle loro interazioni — è bloccato. L’opzione «a distanza» è alternativa utile ma non sufficiente. Dalla chiusura dei musei, dei teatri, dei circoli e dei locali è derivata l’interruzione della socialità, oltre a un’ulteriore precarizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici di diversi settori.
Mario Draghi nella sua replica al Senato ha sottolineato come oltre al danno economico rischiamo «un’ancora più grande perdita dello spirito». I curatori della Biennale Teatro ricci&forte hanno motivato la scelta cromatica della rassegna — con al centro il colore blu — spiegando che è il tono che rappresenta il congelamento, la solitudine, la malinconia ma anche il mare e il cielo. Con la pandemia non ancora superata è comunque all’orizzonte, e quindi al futuro, che dobbiamo guardare con curiosità.
Simbolico da questo punto di vista è il Leone d’Argento assegnato alla rapper/poetessa/attivista Kae Tempest, il cui manifesto artistico/politico è l’empatia radicale, cioè la necessità di trovare nell’Altro un elemento di confronto e cooperazione. Se la primavera e l’estate in arrivo devono essere di rinascita è bene che il nostro impegno non si riduca alla sola messa a calendario di una serie di eventi ma ambisca alla sperimentazione di un nuovo modo di intendere la cultura, in relazione all’impatto sociale che essa può generare.
È ormai riconosciuto che l’attività creativa e culturale è condizione decisiva per lo sviluppo di migliori condizioni per l’inclusione e per la partecipazione, oltre che per la sostenibilità, così come introdotta nell’Agenda 2030 dell’Onu e nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo. Serve quindi mettere al centro dell’attenzione l’agibilità dei luoghi e la loro preziosa funzione ricompositiva. Lo spiega bene il direttore del Museo Egizio di Torino Christian Greco riferendosi al ruolo dell’istituzione che guida: «Le persone che ci lavorano, coloro che, nel tempo, hanno contribuito alla formazione delle collezioni, gli studiosi, i visitatori che vengono o osservano solo a distanza, formano quella che potremmo definire agency sociale».
Un altro grande museo — il British Museum di Londra — durante il primo lockdown ha messo in pratica questa missione proponendo a cittadini e cittadine chiusi in casa di scavare nei propri giardini. Il risultato di questo esperimento di «archeologia popolare»? Oltre 47.000 reperti, esempio di un’attivazione collettiva che di casa in casa anima e abilita la popolazione e i territori andando loro incontro, favorendone il protagonismo.
Questo tipo di movimento richiede una forma diffusa e variegata, che prende spunto dalle sensibilità presenti nel tessuto cittadino ed è capace di armonizzarne — senza omologarle — le proposte, moltiplicandone il valore. L’esigenza di distanziamento non ci deve impedire di cercare nella convivenza la dimensione utile alla co-progettazione e allo sviluppo di una proposta socio/culturale che renda di nuovo vitale la città. Dovremo riabituarci a uscire di casa e muoversi nello spazio pubblico. Sarà un esercizio in sovrapposizione di diversi livelli che tra loro si completano. Non solo la somma quindi delle diverse attività, ma l’ibridazione e la moltiplicazione delle energie e dei desideri, delle competenze e delle passioni.
Avete presente i lucidi che si utilizzano per le presentazione con lavagna luminosa? Uno dopo l’altro dovremo appoggiarli sulla mappa della città fatta di quartieri e sobborghi, di piazze e teatri, di parchi e cortili, del nostro sentirci di nuovo cittadine e cittadini.