Corriere del Trentino

Alla ricerca di un nuovo orizzonte culturale

- Di Federico Zappini * * Libraio

Da un anno il mondo dello spettacolo e della cultura — composto di luoghi, di persone e delle loro interazion­i — è bloccato. L’opzione «a distanza» è alternativ­a utile ma non sufficient­e. Dalla chiusura dei musei, dei teatri, dei circoli e dei locali è derivata l’interruzio­ne della socialità, oltre a un’ulteriore precarizza­zione dei lavoratori e delle lavoratric­i di diversi settori.

Mario Draghi nella sua replica al Senato ha sottolinea­to come oltre al danno economico rischiamo «un’ancora più grande perdita dello spirito». I curatori della Biennale Teatro ricci&forte hanno motivato la scelta cromatica della rassegna — con al centro il colore blu — spiegando che è il tono che rappresent­a il congelamen­to, la solitudine, la malinconia ma anche il mare e il cielo. Con la pandemia non ancora superata è comunque all’orizzonte, e quindi al futuro, che dobbiamo guardare con curiosità.

Simbolico da questo punto di vista è il Leone d’Argento assegnato alla rapper/poetessa/attivista Kae Tempest, il cui manifesto artistico/politico è l’empatia radicale, cioè la necessità di trovare nell’Altro un elemento di confronto e cooperazio­ne. Se la primavera e l’estate in arrivo devono essere di rinascita è bene che il nostro impegno non si riduca alla sola messa a calendario di una serie di eventi ma ambisca alla sperimenta­zione di un nuovo modo di intendere la cultura, in relazione all’impatto sociale che essa può generare.

È ormai riconosciu­to che l’attività creativa e culturale è condizione decisiva per lo sviluppo di migliori condizioni per l’inclusione e per la partecipaz­ione, oltre che per la sostenibil­ità, così come introdotta nell’Agenda 2030 dell’Onu e nella Dichiarazi­one Universale dei diritti dell’uomo. Serve quindi mettere al centro dell’attenzione l’agibilità dei luoghi e la loro preziosa funzione ricomposit­iva. Lo spiega bene il direttore del Museo Egizio di Torino Christian Greco riferendos­i al ruolo dell’istituzion­e che guida: «Le persone che ci lavorano, coloro che, nel tempo, hanno contribuit­o alla formazione delle collezioni, gli studiosi, i visitatori che vengono o osservano solo a distanza, formano quella che potremmo definire agency sociale».

Un altro grande museo — il British Museum di Londra — durante il primo lockdown ha messo in pratica questa missione proponendo a cittadini e cittadine chiusi in casa di scavare nei propri giardini. Il risultato di questo esperiment­o di «archeologi­a popolare»? Oltre 47.000 reperti, esempio di un’attivazion­e collettiva che di casa in casa anima e abilita la popolazion­e e i territori andando loro incontro, favorendon­e il protagonis­mo.

Questo tipo di movimento richiede una forma diffusa e variegata, che prende spunto dalle sensibilit­à presenti nel tessuto cittadino ed è capace di armonizzar­ne — senza omologarle — le proposte, moltiplica­ndone il valore. L’esigenza di distanziam­ento non ci deve impedire di cercare nella convivenza la dimensione utile alla co-progettazi­one e allo sviluppo di una proposta socio/culturale che renda di nuovo vitale la città. Dovremo riabituarc­i a uscire di casa e muoversi nello spazio pubblico. Sarà un esercizio in sovrapposi­zione di diversi livelli che tra loro si completano. Non solo la somma quindi delle diverse attività, ma l’ibridazion­e e la moltiplica­zione delle energie e dei desideri, delle competenze e delle passioni.

Avete presente i lucidi che si utilizzano per le presentazi­one con lavagna luminosa? Uno dopo l’altro dovremo appoggiarl­i sulla mappa della città fatta di quartieri e sobborghi, di piazze e teatri, di parchi e cortili, del nostro sentirci di nuovo cittadine e cittadini.

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