«Al bar promise che l’avrebbe ammazzata»
TRENTO Davanti alla casa di Deborah Saltori, uccisa ieri dall’ex marito, c’è il figlio più grande che aspetta i parenti per un abbraccio. Un adolescente che circondato dai suoi amici si fa forza per reggere l’urto di una notizia che nessun figlio vorrebbe sentire. Abbracci composti, lacrime trattenute: «Preferiamo non dire niente, non oggi», si limita a dire. Una conoscente, «perché in paese si conoscono tutti», dice però quello che forse in tanti pensano: «Il presentimento che finisse così ce l’avevo. Avevo paura per lei quando sapevo che avrebbe dovuto incontrare il suo ex», spiega infatti Isabella.
«Non avevo tanti rapporti, non eravamo amiche, ma conoscevo la situazione. Mio marito conosceva bene il suo, sapevamo che era un continuo litigare, sapevamo delle denunce di violenza, della separazione». Il presentimento che la situazione finisse in tragedia, pochi mesi fa: «Sì — ammette — io me lo aspettavo. Eravamo al bar, lui uscì arrabbiato e disse “Ora faccio un strage”. E io mi sono detta, “Questo prima o poi l’ammazza”». Isabella si ricorda anche l’ultima volta che ha visto Deborah: «In paese, era con il suo figlio più piccolo vestito in maschera, era carnevale, pochi giorni fa. L’ultimo ricordo? Lei che mi saluta accarezzando il mio cane». Isabella stringe il cane a se, che anche ieri era con lei quando si è avvicinata all’appezzamento di terra, al capanno dove Lorenzo Cattoni ha ucciso Deborah Saltori: «Non era la prima volta che veniva qui ad incontrarlo. Mi aveva raccontato che al capanno era già andata per chiedergli soldi, anche per minacciarlo, arrabbiata, per dirgli che non aveva più nemmeno i soldi per comperare i pellet per la stufa, che non riusciva a scaldare l’appartamento. Era senza lavoro, era disperata». Anche dopo quel racconto la conoscente aveva pensato al peggio: «Hai rischiato molto ad andare là», le aveva detto, senza però immaginare che in quel capanno, di lì a pochi giorni, Deborah venisse uccisa davvero dal marito. Attirata con l’inganno di qualche spicciolo per far fronte alle necessità della sua famiglia: quattro figli, tre adolescenti avuto da una precedente relazione e uno più piccolo, di cinque anni, avuto con Lorenzo Cattoni, il suo carnefice.
Isabella, che abita a Cortesano, nella stessa frazione dove si è consumato il dramma del femminicidio di Deborah Saltori, passava spesso vicino alla campagna coltivata da Cattoni: «Venivo a vedere la caprette. Venivo soprattutto ora che lui era ai domiciliari», forse per non incontrarlo. «Non abbiamo mai voluto stringere un rapporto di amicizia — confida la conoscente — come se sentissimo che c’era qualcosa che non andava». La separazione, le liti, le notizie sulla violenza: «Lui è un tipo socievole, sempre pieno di iniziative, sempre attivo, nulla da dire. Ma mi faceva paura — aggiunge Isabella — soprattutto quando lo vedevo rabbuiato, quando era giù di morale. Temevo per lei. So che insisteva per vedere il figlio, gli era molto attaccato. Ma so anche che non sopportava la costrizione dei domiciliari, che si era preso anche un cane perché si sentiva solo». Dal ricordo di Isabella affiora anche la speranza di Deborah in un futuro migliore: «Aspettava con ansia di risolvere la questione della separazione. Mi diceva che a breve ci sarebbe stata l’udienza davanti al giudice, in tribunale». E immaginava una casa per sé, un domani per i suoi figli: «Le avevo detto di chiedere la casa Itea, di fare domanda in Comune. Ma ci aveva già pensato, soltanto che doveva aspettare questa udienza perché risultava in possesso di una casa, quella dove avrebbero dovuto andare a vivere lei e Lorenzo». Una casa acquistata lì vicino, a Gazzaniga: «Un acquisto fatto prima della separazione, una casa mai abitata, che impediva a Deborah di poter accedere alle graduatorie Itea». I suo obiettivo era quindi l’indipendenza: «Non dover più chiedere soldi al suo ex. Essere libera di crescere i suoi figli».
La testimonianza «Temevo per lei. Era già stata al capanno per chiedergli soldi Lui mi faceva paura»