Tutti i beni di Cattoni al figlio
Tutti i beni mobili e immobili di Lorenzo Cattoni andranno al figlio di quattro anni. Il bambino avrà come tutore lo zio Andrea, fratello di Deborah, uccisa il 22 febbraio scorso dall’ex compagno nel capanno di Cortesano: lo ha deciso il Tribunale dei minori che ha sciolto la riserva.
Alessandra Pauncz — psicologa, direttrice esecutiva Work with Perpetrators European Network e presidente di Relive-Relazioni Libere dalle Violenze — legge la cronaca dell’ennesimo femminicidio, quello di Deborah Saltori ammazzata dal suo ex pochi giorni fa, come fosse un copione già scritto: «Ora possiamo limitarci a trattare l’autore come un mostro, ma in questo caso non si farebbe altro che allontanarlo da noi. Dovremmo invece ricordarci che il 17% delle donne ha subito violenza nella loro vita. L’uomo violento non è il mostro che chissà da dove arriva, è il nostro vicino di casa, nostro cugino, nostro fratello».
La violenza è così presente e radicata nelle relazioni affettive?
«Il problema della violenza domestica va ben oltre al femminicidio, che è ovviamente il picco estremo. È facile condannare un comportamento aberrante, e vorrei vedere. Molto più difficile prendere atto della violenza quotidiana che sì, nonostante molti sforzi messi in atto, è una realtà diffusa».
Lorenzo Cattoni, che ha ammazzato Deborah Saltori, ne parlava con gli amici delle liti con la sua compagna che poi sfociavano in violenza. Ma diceva che era lui la vittima.
«Spesso la giustificazione dei maltrattanti è questa, che la compagna li provoca, li picchia, e sulla base dell’esasperazione si attiva una risposta eccessiva. Ma questo è uno dei segnali indicatori, che dovrebbero essere colti dagli operatori per intervenire. Ma anche gli amici che raccoglievano queste confidenze: sono intervenuti o si sono girati dall’altra parte?».
Di segnali, nel caso dell’assassinio di Deborah, ce ne sono stati altri. Il suo ex compagno era confinato ai domiciliari per precedenti violenze, già ammonito dal questore anche per violenze nella precedente relazione.
«Ogni volta che si consuma un femminicidio, è evidente che tutti noi abbiamo fallito. Siamo tutti responsabili perché non siamo stati in grado di prevenire, di supportare, di predisporre attorno alla vittima una rete di sostegno e di difesa».
Cosa si sarebbe potuto fare?
«Perché quest’uomo non è stato accompagnato in un programma di autori di violenza? Perché la donna dipendeva economicamente ancora da lui? Mi sembra chiaro che in Trentino si sia inceppato un meccanismo: so che purtroppo i finanziamenti ai servizi che si occupano degli uomini maltrattanti sono stati sospesi dalla Provincia. È grave».
Sta parlando del percorso «Cambiamenti» gestito da Alfid e Famiglia Materna che in Trentino si rivolge a uomini con atteggiamenti violenti. Ma è dunque possibile «curare» l’uomo violento?
«Prima si interviene meglio è. Si tratta di percorsi che cercano di sviluppare maggiore capacità empatica, per imparare a riconoscere la rabbia e per rafforzare le strategie alternative per la sua gestione. Per mettere in discussione il modello di mascolinità, anche dal punto di vista culturale».
Per la messa in discussione di questo modello di mascolinità erano stati promossi anche i percorsi di educazione alla relazione di genere nelle scuole...
«Che sono stati cancellati. Sbagliando, perché la prevenzione della violenza maschile passa inevitabilmente dalla cultura e dall’educazione».