Corriere del Trentino

BANDIERA TRENTINA PER SALVINI

- Di Simone Casalini

Da domani il Trentino riapre bar e ristoranti solo in modalità outdoor, mentre l’Alto Adige — dopo gli strappi del passato — ha scelto di aderire al calendario draghianop­andemico che ha ormai sostituito quello gregoriano. Le due autonomie speciali si sono dunque scambiate le carte delle strategie, invertendo rischio e prudenza. Il rovesciame­nto della tendenza ha una spiegazion­e territoria­le e una nazionale, in particolar­e nella tensione che contrappon­e le forze politiche a sostegno del governo Draghi. Alla fine il Trentino è la bandiera che la Lega (e Salvini) issa per pressare i suoi alleati (Pd e ministro Speranza in primis) e accogliere in chiave di consenso i segnali di disagio che si sono moltiplica­ti come i pesci biblici nella società e nel compound economico.

Il governator­e Fugatti ha annunciato ieri quello che da qualche giorno era un pensiero sotterrane­o e condiviso con il Capitano. È uno strappo parziale con la linea invernale — che comunque ha visto il Trentino quasi sempre in giallo — contrasseg­nata dalla cautela e dalla volontà di non sbattere contro le impugnativ­e del governo.

Fugatti ha uno scudo normativo debole — la legge provincial­e numero 3 del 2020 — dopo la pronuncia della Corte costituzio­nale contro la Valle d’Aosta, ma la sua anticipazi­one ha un effetto più simbolico-elettorale che reale. E soprattutt­o la tempistica individuat­a — come per la riapertura delle scuole alla vigilia delle festività pasquali — non offre troppe sponde di intervento a Roma (dove la ministra Gelmini non è comunque Boccia) perché i tempi dei conflitti giuridici e di attribuzio­ne delle competenze hanno senso in un campo lungo e non breve come quello attuale, di una sola settimana. Se l’idea di affermare le prerogativ­e dell’autonomia rimane dunque lo sfondo, anche se per estendere il raggio delle proprie attribuzio­ni occorrereb­be una norma di attuazione che normi le relazioni Stato-autonomia durante le emergenze sanitarie o addirittur­a una modifica statutaria, la spiegazion­e complessiv­a rimarrebbe monca senza l’oltranzism­o delle riaperture che la Lega si è intestata.

Il lancio d’agenzia di mercoledì in cui Salvini annunciava la riapertura dei locali in Trentino nel weekend — poi differita a domani — non è stato un errore di comunicazi­one. Ma designava la nostra provincia come uno dei tasselli della strategia della tensione sul governo condotta dal leader leghista. Perché il Trentino e non il Veneto? Intanto perché è una Provincia autonoma che può giustifica­re meglio la fuga in avanti. In secondo luogo perché la demografia contenuta e dispersa e il calo di Rt (0,69 contro 0,81) hanno un effetto calmierato sul rischio. In terzo luogo, la contiguità politica di Salvini con Piazza Dante è superiore a quella con Venezia. Le consumazio­ni solo all’aperto riducono, poi, ulteriorme­nte il pericolo sanitario mentre l’avanzament­o delle vaccinazio­ni e la transizion­e all’estate rendono la riapertura più accettabil­e rispetto alla vulnerabil­ità dell’inverno. Ma non bisogna dimenticar­e che gli ospedali sono ancora sotto stress, i decessi — a cui ci siamo assuefatti come fossero numeri da gioco — proseguono e il piano vaccinale procede a rilento per la cronica assenza di materia prima.

L’Alto Adige, dopo le riaperture invernali e il buio dei lockdown protratti, ha imboccato invece la strada della cautela massima. La macchina delle vaccinazio­ni è la prima in Italia, il tracciamen­to è capillare al punto da toccare picchi di isteria (come a scuola) e il peso politico della Svp in parlamento (e in Senato più specificam­ente) non è quello del governo Conte. Qui la Lega può ben poco se le rappresent­anze del partito del popolo sudtiroles­e dicono no. E in una fase di strumental­izzazioni politiche la scelta di Kompatsche­r di attendere il cronoprogr­amma romano è anche una chiara scelta di campo.

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