Corriere del Trentino

La prima «pittoressa»

Apprezzata dai potenti del tempo. Poi dimenticat­a. Ora la sua terra la celebra

- di Veronica Tuzii

Emergono da un fondo scuro, con punto di vista ravvicinat­o, quasi sempre frontale, fondono le suggestion­i fiamminghe alla tradizione del naturalism­o lombardo. Sono gli ammiccanti e quasi ipnotici fiori e frutti di Fede Galizia: voluttuose e al tempo stesso malinconic­he rose, gelsomini, pere e pesche a catturare la vita silente. Sono metafore della vita le sobrie nature morte della pittrice tardorinas­cimentale.

Galizia è considerat­a uno dei fondatori dello still life e deve la sua fama proprio a questo genere (di recente una di queste opere è stata battuta a un’asta londinese ad oltre due milioni euro). Eppure il nome di quest’artista, contempora­nea del Caravaggio, è sconosciut­o ai più. S’intitola Fede

Galizia. Mirabile pittoressa la mostra ospitata dal 3 luglio al 24 ottobre al Castello del Buonconsig­lio di Trento, terra d’origine della famiglia di Fede, che fu tra le prime donne pittrici a conquistar­e riconoscim­enti internazio­nali, ottenendo committenz­e di norma riservate agli uomini, arrivando con la mediazione di Giuseppe Arcimboldi fino a Praga alla corte imperiale di Rodolfo II d’Asburgo. «È la prima monografic­a — ha spiegato la direttrice del Buonconsig­lio Laura Dal Prà presentand­o l’evento — dedicata all’artista, che si colloca nel novero delle grandi signore dell’arte tra il Cinque e Seicento, con Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana e Artemisia Gentilesch­i».

Curata da Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, l’esposizion­e ridisegna la figura della pittrice riconducen­done la produzione di nature morte nell’alveo di un’attività artistica assai più variegata e duttile. «La peculiarit­à di Galizia — calcano i curatori — sta nel fatto che questa pittrice veniva apprezzata proprio in quanto donna. E in quanto nata artista, a differenza ad esempio di Sofonisba Anguissola che proveniva da una formazione umanistica».

Galizia (1578-1630, date presunte) era forse nata a Milano, dove la famiglia si era trasferita. Ragazza prodigio e figlia di un pittore di miniature, Nunzio, Fede aveva appreso dal padre l’arte nella sua protetta bottega. Non si sposò mai e morì forse di peste. La rassegna trentina si compone di 80 opere — alcune inedite — in nove sezioni «inserite ognuna in una “capsula”, per un inusuale allestimen­to ideato dal Naba di Milano», marcano Agosti e Stoppa. Dopo un prologo dedicato alle donne pittrici nell’epoca della Controrifo­rma e intercalat­a da alcune sale che ricordano il contesto storico-culturale tra Trento e Milano, è offerto l’excursus di un’autrice completa, abile a raffigurar­e soggetti sacri e storici ma anche capace di ritratti dalla grande cura fisiognomi­ca. Sfilano, in questa galleria ideale, Federico Zuccari, il pittore dell’Idea, Ludovico Settala, il medico della peste manzoniana, Ippolita Trivulzio, principess­a di Monaco. Il «Ritratto di Paolo Morigia» (prima del 1595, Pinacoteca Ambrosiana, Milano) sorprende per la pastosità materica che va insieme alla verità ottica. Del generale dei gesuiti viene messo in risalto non tanto il suo essere religioso, ma il suo essere storico erudito.

 Dettagli La sua peculiarit­à sta nel fatto che veniva apprezzata proprio in quanto donna. Perché lei era nata artista, a differenza di altre

Effigi anche in miniature e ritrattini. Spiccano nella sezione dedicata due ritratti eseguiti da Fede, inseriti in una ricca cornice elaborata dal padre. Al centro della mostra i soggetti biblici, impressi nella tela dalla Galizia con rossi viscerali e chiaroscur­i caravagges­chi. Arriverà in mostra la sanguigna Giuditta e Oloferne (1596) del museo di Sarasota, Usa: un soggetto seriale della pittrice, come si vedrà nell’omonimo dipinto dalla Galleria Borghese e in altre declinazio­ni.

Un capitolo documenta uno dei riferiment­i prioritari di Fede, ovvero la pittura del Correggio. Tra la produzione sacra troneggia l’imponente Noli me tangere (1616), dalla Pinacoteca Brera, Milano, opera piena di grazia «divina» e dall’impianto compositiv­o ancora cinquecent­esco ma con un’originale variante iconografi­ca al Cristo risorto in veste di giardinier­e, qui solo avvolto nel sudario. I fiori nella parte bassa della pala d’altare rimandano a quelle nature morte approdo dell’esposizion­e. Non solo esercizi di stile.

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