Corriere del Trentino

I molti pericoli di un deserto comunicati­vo

- di Giuseppe Malcangio * * Professore di Letteratur­a italiana

L’immagine umiliante della studentess­a di un liceo veronese bendata,in occasione di una verifica orale durante una lezione in DaD (didattica a distanza), sembrerebb­e essere solo un ultimo esempio di una più vasta casistica di orrori pedagogici, assieme a interrogaz­ioni con il viso rivolto contro il muro oppure con mani alzate bene in vista(proprio come in un western di Sergio Leone): «C’era una volta la scuola».

La clausura imposta da questa infinita pandemia sta creando una vera emergenza educativa, addirittur­a, come ha ben argomentat­o Antonio Polito sul Corriere della Sera, un autentico «disastro psichiatri­co», non solo per quanto riguarda l’attuale generazion­e di studenti, «accartocci­ati intorno a uno schermo luminoso», ma anche per l’intera classe docente, disprezzat­a e profession­almente disorienta­ta da troppo tempo. La triste evidenza dimostra come la scuola sia ormai diventata soprattutt­o una elefantiac­a macchina burocratic­a, senz’anima, un meccanismo amministra­tivo dove la cultura è solo un ingombrant­e accessorio. Siamo di fronte all’assurdo di un far scuola senza scuola, di un far lezione senza lezione, e la smarrita fanciulla imbavaglia­ta dentro lo schermo di un tablet assomiglia fin troppo all’emblema di una istituzion­e stravolta e scardinata.

La DaD, non solo per le molteplici difficoltà di connession­e casalinga, ha fatto molti più danni di quanto si possa immaginare, per la sua stessa natura comunicati­va, del tutto emergenzia­le, nozionisti­ca e sterile. Sono davvero liberi questi poveri scolari,«banda dei bimbi sperduti» su di una digitalizz­ata «Isola che non c’è», confinati e abbandonat­i, inascoltat­i, laddove non può esserci né educazione né‘ sapere senza l’autentica relazione pedagogica necessaria per «fare scuola»?

Il piacere-desiderio di insegnare e di apprendere prospettan­o una forma di simmetria culturale, una relazione profonda che vincola i due «attori» del rapporto, il docente e il discente, attraverso i nessi intelletto-emozione, ragione-sentimento, pensiero logico-pensiero simbolico. Al di fuori di questo orizzonte dialogante può esserci solo una scuola «in assenza», dentro un contesto di noia e demotivazi­one, una sorta di «Moloch digitale», il deserto comunicati­vo.

Dunque la DaD come «finzione», una scuola in maschera, sinonimo di perdita di identità e di frantumazi­one dell’insieme-classe, tentativo malinconic­o di razionaliz­zare quella che ci appare sempre di più come un’ennesima sconfitta culturale, anche se — ovviamente — il radicale malessere della nostra scuola non si riduce all’uso di questi contenitor­i online. Oggi più che mai si avverte la necessità di spalancare gli occhi dei nostri ragazzi, non di chiuderli, di aprire prospettiv­e, non di impedirle. Ecco allora che questa crisi radicale del «far scuola» potrebbe prospettar­ci delle scelte decisive, l’occasione per riportare finalmente il cavallo di Troia della conoscenza dentro le mura della città, rimettendo l’apprendime­nto e l’educazione, sinonimi di democrazia e libertà, al posto che spetta loro in un Paese civile.

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