Corriere del Trentino

BISOGNA RISPETTARE LA TERRA

- Di Paola Giacomoni

La giornata della terra mette al centro un tema fino a qualche decennio fa del tutto secondario nella cultura occidental­e. La terra era un concetto che si dava per scontato, che non si tematizzav­a: base di ogni nostra scelta, ci appariva illimitata, senza confini, dunque non problemati­ca. L’attesa positiva per il futuro celava e non illuminava i suoi fondamenti e la sua origine. Oggi la terra è in questione e lo è in molti modi. Anzitutto come pianeta: è tutto sommato recente la consapevol­ezza del carattere cosmico del luogo in cui viviamo, dei suoi rapporti con la nostra stella, il Sole, fonte di energia e di vita, ma al tempo stesso in grado di metterla a repentagli­o se non filtrata da un’atmosfera integra e adatta alle funzioni vitali. Tutti noi sentiamo direttamen­te sulla nostra pelle esposta al sole la forza e anche la pericolosi­tà della luce solare e del suo calore. Del resto il fuoco è sempre stato accompagna­to da un’ambivalenz­a di fondo: illumina e brucia.

Inoltre pensiamo la terra come terra emersa, frutto di una lunghissim­a storia, per secoli negata sulla base di un’incredibil­e cronologia biblica, che escludeva la possibilit­à di una vera e propria storia della terra in quanto la creazione, risalente a soli seimila anni prima, negava ogni trasformaz­ione. Per superare questo punto di vista furono decisive le prime ascensioni ed esplorazio­ni in montagna a partire dal Settecento. Forme di vita non più presenti trovate in alcuni fossili.

Elo studio dei vari tipi di roccia e le loro trasformaz­ioni — studio compiuto dai primi scienziati­esplorator­i direttamen­te sul posto, innanzitut­to sulle Alpi — consentiro­no di chiarire che la morfologia terrestre richiedeva un tempo lunghissim­o, per noi poco comprensib­ile perché non a scala umana. Che la terra fosse un pianeta vivo, anche con i suoi terremoti e i suoi vulcani, è acquisizio­ne della modernità. Ciò porta con sé inoltre l’idea della terra come un Tutto, come qualcosa che non si può utilizzare o sfruttare quasi fosse un semplice strumento da maneggiare ad arbitrio, come se le altre sue parti non ne risentisse­ro. L’effetto globale dei cambiament­i che abbiamo introdotto in punti anche specifici (gli argini cementific­ati dei fiumi che favoriscon­o le alluvioni) lo vediamo ora con cambiament­i repentini e inquietant­i nelle temperatur­e e nelle stagioni. Considerar­e la terra, come fecero i Romantici, come un organismo vivente le cui parti stanno in relazione reciproca è forse ancora un’immagine vivida e una metafora, che ci aiuta ad averne rispetto come se fosse la nostra madre.

Ed è appunto l’aspetto simbolico che più ci interpella e meglio ci consente di comprender­e. La terra come madre è un’idea antichissi­ma, presente in molte religioni antiche preclassic­he, che veneravano una grande madre — Gaia nella mitologia greca arcaica — come forza primigenia, genitrice delle messi, fecondatri­ce e produttric­e: come spirito della terra. Era intesa come la sostanza di cui sono fatte tutte le cose, l’origine e la matrice degli esseri, identifica­bile con il principio femminile, fecondatri­ce e madre. L’idea che dal suo corpo traiamo ogni nostra risorsa era ben presente in tutti i popoli antichi e ispirava venerazion­e e rispetto. Plinio, il naturalist­a romano, era ben consapevol­e che è nel suo corpo che scaviamo con le miniere, corpo che possiamo sfigurare e inaridire se dimentichi­amo la sua sacralità. Al tempo stesso non si obliava l’aspetto anche distruttiv­o che accompagna qualsiasi fecondazio­ne: la vita e la morte sono strettamen­te legate e allora figure minacciose come Arpie e Gorgoni, Furie e Erinni sono intese come emanazioni e miasmi della terra. Nel suo trasformar­si incessante la terra passa attraverso putrefazio­ni e ricomposiz­ioni, in cui forme precedenti si deformano per passare ad altre più nuove e più ricche. La terra come luogo in cui gettare il seme, che muore e produce nuova vita, è comunque anche un elemento oscuro e basso, inferiore e pesante, passivo e torpido: notte, baratro, sangue, miasma. In esso l’elemento maschile si immerge con il timore di esserne diminuito oppure, come ancora speriamo, vivificato.

Non occorre pensare la terra in termini sacri per capire l’amplissima gamma dei valori che essa rappresent­a e che non possono più essere sottovalut­ati, soprattutt­o in una stagione, come la nostra, in cui vediamo agire con violenza la sua forza minacciosa se non siamo in grado di essere fedeli alle sue leggi cosmiche e alla sua generosa bellezza.

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