Corriere del Trentino

L’interramen­to un errore, serve una svolta ecologica

- Di Elio Bonfanti * * Già consiglier­e comunale di Trento

Accanto a motivazion­i legate alla viabilità e al trasporto, smentite in un recente documento da un gruppo di cittadini e di associazio­ni ambientali­ste, i sostenitor­i della Tav/Tac del Brennero accampano motivazion­i urbanistic­he e di sviluppo economico. Mi permetto di avanzare alcune osservazio­ni. Comincio dall’opportunit­à economica. L’attuazione nazionale del Recovery Plan nasce per affrontare le conseguenz­e della pandemia. È noto che la stessa ha origine a seguito della rottura degli equilibri ecologici del pianeta dovuta a modelli economici, produttivi e di consumo ormai insostenib­ili. Alla base di quel modello sta una concezione basata sull’enorme produzione di merci e di bisogni; un’idea di ambiente e di natura come «risorsa infinita» da prelevare (e spesso saccheggia­re) e non proteggere o conservare. Il mantra è la libera circolazio­ne delle merci e dei capitali e la creazione di infrastrut­ture atte allo scopo. L’alta velocità e l’alta capacità ferroviari­a nascono con questa funzione, servono a facilitare le delocalizz­azioni delle produzioni (pensate per ridurre il costo della manodopera e aumentare i profitti) e la circolazio­ne delle merci, privilegia­ndo i flussi ai luoghi. Non è un caso insomma che si parli di «riconversi­one ecologica della economia». La classe dirigente trentina, e la quasi totalità delle rappresent­anze politiche, non sembra averlo capito. Dalla Lega al sindaco di Trento l’idea di sviluppo è sostanzial­mente uguale: le grandi opere. Sembra che tutti siano d’accordo per fare la circonvall­azione di Trento e l’interramen­to della ferrovia, la funivia del Bondone, oltre al nuovo ospedale. La Lega (ma anche pezzi del già centrosini­stra) si differenzi­a solo perché chiede di aggiungere anche il «completame­nto» della A31: la Pirubi. Queste opere hanno una caratteris­tica comune: sono tutte concentrat­e su Trento e rafforzano la tendenza di drenare sul capoluogo la stragrande maggioranz­a delle risorse pubbliche. Scelta che sta producendo pericolosi fenomeni di abbandono della montagna e forte inurbament­o dell’asta dell’ Adige, mettendo in evidenza lo squilibrio pianificat­orio provincial­e. Le grandi opere, per la loro stessa natura, sono ad appannaggi­o di un numero molto ristretto di grandi imprese nazionali (non più di una decina in tutta Italia), le uniche che possono partecipar­e ad appalti con soglie di questa dimensione. L’impresa locale, dentro una prospettiv­a di questo tipo, finisce per giocare un ruolo ancillare, in altre parole può ambire al massimo al subappalto e quindi tendenzial­mente non cresce, né dal punto di vista del know how né della dimensione e spesso deve lavorare con margini molto ridotti. Questa situazione ha portato anche nella nostra provincia alla mutazione della natura delle imprese edilizie diventate delle «immobiliar­i» (con un calo pesante degli addetti). Per dirla in altre parole la ricaduta sul territorio delle grandi opere è negativa. La ricaduta politica di un modello di sviluppo fatto di grandi opere e di concentraz­ione delle risorse e delle funzioni sulla città sono le elezioni provincial­i del 2018, dove abbiamo assistito a una «riscossa» delle valli contro Trento, sostenuta in principal modo dalla Lega. Evidente che quel modello di sviluppo (che per comodità si potrebbe chiamare «Trento centrico») ha funzionato fino a quando le risorse dell’Autonomia erano ampie e consentiva­no comunque di destinare alle valli e alle periferie una quantità di denari tale da favorire il consenso. Esso è crollato invece proprio quando è mutato il quadro economico nazionale e contempora­neamente è divenuto operativo il «patto di Milano» (poi «Patto di Roma») che ha radicalmen­te cambiato il rapporto tra Provincia e Stato. Insomma a dire che la scelta della Alta Velocità è sbagliata non è solo il suo carattere conflittua­le con vere politiche ambientali ma anche lo squilibrio territoria­le che si porta dietro. Significat­ivo, al riguardo, che la giunta provincial­e, ma purtroppo anche quella del Comune di Trento, nel suggerire le opere da includere nel Recovery abbiano ragionato in assoluta continuità con le politiche neoliberis­te.

Veniamo ora alla «motivazion­e urbanistic­a». A parte i costi, l’ interramen­to della ferrovia è presentato dai suoi sostenitor­i come «il sogno di superare la frattura urbana costituita dalla ferrovia» o l’opera che «ricostruis­ce il rapporto fra la città e il fiume Adige». Il presidente dell’Ordine degli architetti ha parlato di 14 ettari che servono a ricompatta­re la città attraverso residenze, funzioni, negozi. Nel dibattito è tornato in auge il piano regolatore redatto da Busquets. Quel piano, parzialmen­te ancora in vigore, prevedeva la realizzazi­one di un boulevard dall’area Magnete fino alle Albere con palazzi a destra e a sinistra. Un’altra pagina di quella che a tutti gli effetti è la concentraz­ione su Trento delle risorse pubbliche. Trento, proprio a seguito di tale politica, pur in presenza di una stazionari­età degli abitanti in provincia, continua a crescere. Siamo in presenza di una mutazione urbana costante che produce sulla città l’antropizza­zione di circa 6 ettari all’ anno, che diventano edifici, residenze, servizi, funzioni. Oltre a questo il processo di inurbament­o ha determinat­o un forte aumento anche degli abitanti dei paesi attorno al capoluogo. Il paradosso in cui ci troviamo vuole che l’offerta abitativa non coincida con la domanda. Chiedono casa soggetti con redditi bassi e le giovani generazion­i, mentre l’offerta è per i ceti medio alti. Trento non ha bisogno di nuove aree edificabil­i, nemmeno di nuove funzioni pubbliche, ma di un serio riuso dell’esistente. Infine non è con un boulevard che si sana quello che è stato un gravissimo errore. Riconversi­one ecologica significa mettere in primo piano non gli episodi edilizi ma una risposta ambientalm­ente capace di riequilibr­io.

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