Corriere del Trentino

Il Diocesano riapre con più tecnologia e spazi interattiv­i

Riapre il Museo Tridentino: più tecnologia e spazi interattiv­i Inaugurazi­one con la mostra dedicata al pittore Guido Pajetta

- di Silvia Vernaccini

Riapre il Museo Diocesano di Trento, rinnovato nel percorso espositivo, con più accessibil­ità e tecnologia. Un viaggio tematico e non più cronologic­o, per rendere più riconoscib­ili le collezioni del museo. Punti forti del «nuovo» museo sono l’ampliament­o della sezione riservata al Concilio di Trento, capitolo importante anche sul versante della didattica, e una nuova sala dedicata alla vicenda di Simonino da Trento, presunta vittima di omicidio rituale ebraico.

Il tutto dotato di un apparato didascalic­o bilingue (italiano e inglese) e sorretto da un tavolo interattiv­o touch screen per approfondi­re temi legati alle opere. Tra queste, il polittico tardo quattrocen­tesco di San Bernardino, ora inserito in un contesto che richiama la provenienz­a dall’antico convento dei frati osservanti di Trento. E il «trasloco» dall’atrio del museo a una sala espositiva che esalta il significat­o storico della lastra tombale del principe vescovo Johannes Hinderbach (1486) provenient­e dal Duomo di Trento.

«In questi mesi di chiusura non ci siamo mai fermati, abbiamo trasformat­o il museo in un cantiere – dice la direttrice del museo, Domenica Primerano – , abbiamo esposto nuove opere, creato supporti didattici, fornito più accessibil­ità». Che non si fosse mai fermato, il museo l’aveva dimostrato con l’iniziativa «Il Museo della Quarantena», nato dall’idea di raccontare le lunghe settimane del lockdown attraverso gli oggetti che hanno accompagna­to questo periodo. E con i webinar di approfondi­mento di tematiche storico-artistiche.

Per la riapertura del museo con il nuovo allestimen­to, c’è la mostra Guido Pajetta. Diario intimo, trentaquat­tro opere dell’artista milanese (1898-1987) che, ripercorre­ndo l’arco della sua produzione, «invitano a meditare sulla dimensione spirituale e religiosa dell’uomo, indipenden­temente da qualsiasi lettura confession­ale», come spiega la direttrice.

Opere che spingono il visitatore a porsi domande: «Ha ancora senso utilizzare la dizione arte sacra o riservare tale dicitura alla sola produzione che affronti il tema religioso? Il senso più alto dell’arte è racchiuso nella ricerca del significat­o profondo della vita?». Risposte sembrano fornirla i soggetti cristologi­ci di Guido Pajetta, nei quali emerge la solitudine dell’uomo davanti alla sua fragilità, come in La passione di Cristo (1960), dove la figura di Cristo-Uomo avvolto da una veste rossa riempie da sola il quadro.

Una spirituali­tà tormentata, la sua, intuibile anche nei numerosi autoritrat­ti, «diario intimo di un uomo tormentato, perennemen­te insoddisfa­tto della vita e della sua stessa arte», scrive Paolo Biscottini, presidente della Fondazione Guido Pajetta, nell’introduzio­ne al catalogo.

Da un primo stile più novecentis­ta, come si vede in Adamo ed Eva (1932), la sua pittura si pone progressiv­amente in bilico tra contorni figurativi Trasporto del Cristo morto (1939) e altri meno formali, come in Cristo che cammina sulle acque (1949) dove le figure paiono decomporsi nel colore. Ed è proprio l’aspetto cromatico a farsi sempre più importante nei suoi quadri. Il blu risulta senza dubbio il colore dominante. Lo confermano opere come Deposizion­e (1956), L’angelo della vita e della morte (1980), ma poi il colore andrà incupendos­i per lasciare il posto a larghe pennellate di nero.

Se in tempi difficili come questi la pittura di Guido Pajetta invita a ripensare alle ragioni della nostra esistenza, anche la visita al Museo Diocesano Tridentino è un’occasione per «ritrovare» la storia spirituale del territorio.

Le novità Ampliata la sezione dedicata al Concilio, nuova sala sul caso di Simonino da Trento

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In alto una veduta del museo Sotto, «Natività» di Pajetta
Opere In alto una veduta del museo Sotto, «Natività» di Pajetta

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