NEL ROSSO LO TSUNAMI DELL’ONLINE
C’è una cartina geografica dell’Italia, colorata, che preoccupa. Perché la divisione è netta: il Centro-Nord è tutto in rosso, con alcune regioni (tra le quali il Trentino- Alto Adige/ Südtirol) dove il rosso è ancora più scuro a denotare le massime percentuali; il Centro è arancione; nel Meridione prevalgono nettamente le tinte chiare, mentre la Sicilia è quasi bianca e la Sardegna rossa. L’immagine emblematica ha nulla a che vedere con il Covid-19, poiché fotografa la diffusione del commercio online nel nostro Paese nel dicembre 2019, ossia alla vigilia dell’inizio della pandemia. Dalla Toscana in su, oltre il 35 per cento delle persone coinvolte nell’indagine campionaria Istat ha fatto acquisti via Internet (con punte superiori o intorno al 40%, come nelle due Province autonome); sotto Roma il dato cala rapidamente, fino ad arrivare al 24,4 per cento della Sicilia e al 23,2 della Campania. Il quadro rilanciato da Openpolis conferma quanto sappiamo da tempo: nel Mezzogiorno, infrastrutture, dotazioni e competenze informatiche risultano ampiamente, direi drammaticamente, inferiori rispetto alla media nazionale. Ovviamente ciò si riflette sulla competitività e sulle potenzialità di sviluppo: la didattica a distanza ha penalizzato tutti gli studenti, ma è chiaro che i danni sono stati maggiori dove mancavano i computer e le connessioni al Web traballavano. Manteniamo tuttavia l’attenzione sulle dinamiche che investono il terziario.
Se già prima del lockdown quasi un abitante su due delle nostre zone comprava beni in rete (soprattutto abiti, articoli sportivi e oggetti per la casa), potete immaginare l’effetto che qui ha avuto lo stop dei negozi a causa della crisi sanitaria. La perdita di fatturato non potrà essere recuperata interamente, perché i lunghi mesi caratterizzati dalle serrande abbassate hanno alimentato la propensione agli acquisti online che garantiscono sia un’infinita gamma di prodotti, fuori dalla portata di qualsiasi realtà del commercio tradizionale, sia prezzi generalmente più convenienti. Certo, non esiste contatto umano, né si possono avere i consigli del bravo negoziante, ma raramente tali elementi appaiono sufficienti per riequilibrare il piatto della bilancia. Basta fare un giro nei centri storici e un po’ ovunque per accorgersi di quante vetrine siano abbandonate e di come latitino imprenditori interessati a rianimarle. La discesa dell’occupazione dipendente, già registrata ufficialmente, conferma l’esperienza visiva. In Trentino e in Alto Adige/ Südtirol sono state messe in campo lodevoli iniziative per sostenere la vendita online di prodotti locali e l’approdo sul Web delle aziende commerciali del territorio, però si tratta di misure forse capaci di tamponare la falla, non di risolvere il problema. Non a caso Amazon ha annunciato l’imminente realizzazione di un proprio centro logistico a Trento Nord. È necessario allora andare oltre l’emergenza, favorendo una riflessione scientifica sulla probabile evoluzione del commercio, anche per individuare le migliori strategie utili a sostenere la filiera tradizionale. Bisogna infatti tener presente che le «botteghe» non sono solo un’attività economica, ma rappresentato un fattore costitutivo della socialità e della vitalità urbanistica di paesi e città. Si annuncia insomma uno tsunami che può davvero stravolgere il nostro stile di vita: l’onda non può essere fermata, ma probabilmente siamo ancora in tempo per limitare i danni.