«Un mese a letto con tubi e casco»
Aveva fatto l’impossibile per non ammalarsi, smart working, mascherina, igienizzazione e distanze. I Dpi come per tutti erano diventati una compagnia quotidiana e anche i contatti con gli amici erano solo via streaming o attraverso i social.
Una vita in «lockdown», o quasi, ma non è bastato. «Solo due volte alla settimana andavo in ufficio e a pranzo mantenevamo rigorosamente le distanze», ricorda. Ma il Covid è arrivato lo stesso. Ancora oggi Massimo Vassallo, funzionario della Provincia, con un passato alla Risto3 e da candidato alle comunali di Trento, non si spiega come è potuto accadere. «Ho fatto di tutto per non ammalarmi, sono stato attento e mia figlia e la mia compagna erano negative», racconta,
"Massimo Vassallo A chi non crede al Covid farei passare un paio di notti in pneumologia. Medici e infermieri sono straordinari ma nei loro occhi vedi la fatica e la stanchezza
ricordando il lungo e travagliato mese in ospedale tra tubi dell’ossigeno, notti a pancia in giù per respirare meglio e il casco. «A chi dice che il Covid non esiste farei fare un paio di notti nel reparto di pneumologia», riflette amaro.
Poi la mente torna a quei primi giorni di metà novembre quando tutto è iniziato. «Sembrava una tosse, ma neppure tanto brutta, era solo fastidiosa — racconta — poi è salita la febbre a 38.2-38.4. È stato allora che ho cominciato a temere di essermi preso il coronavirus». Dal letto nella propria casa a quello dell’ospedale Santa Chiara il passo è stato breve. Il 24 novembre a casa di Vassallo è arrivata l’ambulanza, i primi esami al pronto soccorso, poi il ricovero. «I sanitari subito dopo i primi esami, meno di mezzora dopo dal mio arrivo in pronto soccorso, mi hanno trasferito nel reparto di pneumologia» spiega. «Inizialmente non mi rendevo conto della gravità della situazione perché la tosse e la febbre facevano pensare a una semplice influenza, ma quando sono stato ricoverato in pneumatologia ho capito che non andava benissimo. Mi hanno subito messo i tubi nel naso per l’ossigeno e poi il casco». Vassallo ricorda le notti trascorse sdraiato a pancia in giù, «perché così respiri meglio, poi quando ero seduto in poltrona mi mettevano subito il casco». Il funzionario dice di non aver mai avuto davvero paura, «ero ottimista, sapevo di farcela», ma accanto a lui ha visto pazienti che non riuscivano più a muovere le gambe. «C’era gente che doveva camminare con il girello, altri che avevano problemi di cuore, io non ho mai avuto problemi alla gambe, ma i valori dell’ossigeno erano sempre bassi e non mi dimettevano. Facevo fatica a respirare e in ospedale si perde anche il senso del tempo, le giornate sono cadenzate dalle punture, dalle medicine e dai pasti». Vassallo ha trascorso anche il giorno di Natale in ospedale, solo il 27 dicembre è arrivata la buona notizia. «Oggi torna a casa», gli ha detto un medico. Ed è proprio a loro e agli infermieri che il pensiero torna ogni giorno. «Sono veramente pazzeschi — spiega — c’erano sempre, erano sempre disponibili e di una gentilezza impensabile, anche se nei loro occhi si percepisce la fatica. Il brutto di questo virus è che circola velocemente e ci sono tanti asintomatici. Ho visto anziani di 79 anni farcela e altri no. Mi ha colpito molto il mio vicino di letto — continua — siamo diventati amici. Mi disse che era convinto di aver preso il Covid dal cognato anche se avevano tenuto le distanze, il cognato era più giovane, aveva sessant’anni e purtroppo non ce l’ha fatta». Vassallo ora sta bene, lavora e fa lunghe camminate con la figlia, ma dovrà aspettare un anno per poter archiviare definitivamente il Covid e sapere se la sua vita tornerà quella di prima.