Scuola a casa, Provincia sconfitta
Tar, vittoria di quattro famiglie. I giudici: «Libertà di scelta educativa»
«La libertà di scelta educativa è un principio sancito dalla legge». Lo afferma il Tar di Trento che ha accolto il ricorso di quattro famiglie fassane. I genitori avevano comunicato la volontà di istruire i propri figli a casa, la cosiddetta homeschooling, ma il dirigente aveva detto no: «È troppo tardi». Per i giudici del Tribunale amministrativo regionale non poteva farlo, «basta che i genitori dimostrino la capacità economica e tecnica».
La libertà di scelta educativa delle famiglie è un principio sancito dalla legge e riconosciuto anche da due delibere provinciali e «non tollera l’opposizione di ulteriori condizioni, oltre alla dimostrazione della capacità tecnica ed economica», scrivono i giudici. Il cavillo del ritardo nella comunicazione non giustifica il diniego da parte del dirigente scolastico alla richiesta dell’istruzione parentale. Sintetizzando, «al dirigente — precisa ancora il Tar, richiamandosi al protocollo 253 del 2013 del ministero dell’Istruzione — non compete autorizzare o negare alcunché, bensì prendere atto, dell’intenzione di avvalersi dell’istruzione parentale».
Non lascia grandi spazi interpretativi la pronuncia del Tar di Trento che fissa, se mai vi fossero ancora dubbi, un principio sancito per legge che, se da un punto di vista giuridico è assodato, non lo è sotto il profilo sociale. La homeschooling, termine inglese che indica la scuola parentale esiste da sempre, in alcuni Paesi come l’Irlanda e il Belgio è molto in voga. È una delle possibilità rispetto alla scuola dell’obbligo negli istituti pubblici e privati, in Italia è meno utilizzata rispetto ad altre realtà del nord Europa, ma sono sempre di più le famiglie che decidono di istruire i propri figli a casa e ora la sentenza del Tar di Trento, che ha accolto il ricorso di quattro famiglie fassane, rappresentate dagli avvocati Eugenio Picozza e Rosa Michela Rizzi, offre uno strumento in più ai genitori che decidono di intraprendere questo percorso e devono affrontare le resistenze della scuola. «Sarebbe auspicabile creare un coordinamento per queste forme di istruzione», hanno osservato gli avvocati in udienza. Per i quattro genitori della val di Fassa, che hanno deciso di seguire l’approccio pedagogico di Maria Chiara Nordio, è stata quasi una scelta di vita. I quattro, genitori di altrettanti bambini, hanno iscritto regolarmente i propri figli nell’istituto comprensivo che prevede anche l’insegnamento della lingua ladina. Il primo è stato iscritto alla terza classe e gli altri tre in prima, ma quando è arrivato il momento di iniziare la scuola hanno cambiato idea e hanno comunicato alla scuola la volontà di avvalersi dell’istruzione parentale come previsto dall’articolo 30 della Costituzione, dal Dpr del ‘97 e dalle norme successive. Il motivo? «Esigenze organizzative familiari». I quattro bimbi avrebbero quindi seguito e lezioni a casa con insegnanti privati che garantivano loro anche l’insegnamento della lingua ladina. A fine anno l’alunno sostiene un esame di idoneità alla classe successiva. I genitori avevano allegato anche il progetto educativo, ma il dirigente ha negato loro questo diritto, sollecitandoli a iscrivere i propri figli. Il motivo? I tempi. C’è infatti una normativa provinciale che impone di comunicare entro il 31 gennaio la decisione di non iscrivere il proprio figlio a scuola. Ma la comunicazione dei genitori sarebbe arrivata ad agosto. Il ritardo è ammissibile solo in casi eccezionali e non sarebbe questo il caso secondo il dirigente che ha firmato un provvedimento di diniego e poi, vedendo che i bimbi non andavano a scuola, ha scritto ai genitori spiegando loro che avrebbe preso provvedimenti. A quel punto i quattro genitori si sono rivolti al Tar. Per i giudici amministrativi il termine indicato nella delibera provinciale, invocata da Provincia e dirigente, seppure sia ragionevole per motivi organizzativi, non può essere vincolato alla decadenza di un diritto.