Riapre il Mag, immersione nello sguardo di Bonat
Riapre il museo dell’Alto Garda Un’immersione nel paesaggio attraverso lo sguardo di Bonat Bonazza: «Un pittore gentiluomo»
Un’immersione nel paesaggio di Riva del Garda e dintorni durante gli anni Sessanta del Novecento. L’ingresso in un periodo dal sapore un po’ magico, in cui giunge a compimento una visione paesaggistica e culturale attorno a cui l’intera comunità rivana si era impegnata nei decenni precedenti. Al contempo, lo sguardo sembrava già protendersi verso gli sviluppi futuri, e confrontarsi con il mondo nuovo che si stava affacciando. Si intitola «Giovanni Bonat. Il paesaggio e la bella Riva degli anni Sessanta» la mostra curata da Roberta Bonazza che darà il via alla stagione 2021 del Museo Alto Garda, Mag, di Riva del Garda (inaugurazione oggi alle 18, ingresso su prenotazione).
«Un momento felice, connotato da un forte spirito comunitario», così la curatrice sintetizza l’essenza dell’esposizione, sottolineando il fertile intreccio tra l’opera del pittore Giovanni Bonat (Bludenz, Austria, 1901 – Arco, 1983) con le vicende dei suoi concittadini, e soprattutto con il fermento artistico che gravitava attorno al Gruppo degli Amici dell’Arte. Si trattava di un collettivo di pittori e scultori, di cui lo stesso Bonat fu cofondatore, che nel 1946 all’interno della Rocca diede vita alla prima mostra collettiva rivana.
Nato da famiglia di umili origini, emigrata in Austria e rientrata in Italia solo dopo la Grande Guerra, spinto dalla passione per la pittura Bonat si trasferì a Milano, dove di giorno lavorava e la sera frequentava i corsi di pittura della Scuola d’Arte Cristiana. «Un pittore gentiluomo – lo definisce Bonazza - con il cappello a tesa larga e un grande amore per il paesaggio, che dipinge dal vero percorrendo i dintorni di Riva con la bicicletta carica di colori e pennelli. Il suo linguaggio pittorico si distingue per la delicatezza nei colori e per una poetica che sospende nel silenzio i luoghi. Ama la natura e ha un animo sensibile, contrassegnato da una certa timidezza», osserva ancora.
Nel clima di grande speranza e di voglia di rinascita che caratterizzava il periodo che seguì la Seconda guerra mondiale, a Riva del Garda fu aperto il Museo civico, che diventò presto il fulcro di un intenso fermento culturale. Dalla sua originaria funzione di difesa, la Rocca si trasformò così in luogo di scambio con l’esterno. Non solo vi si allestirono le varie sale delle collezioni permanenti, ma su impulso di Giacomo Vittone prima, e dei fratelli Carlo e Luigi Pizzini poi, la Rocca si aprì a ospitare diversi studi di artisti, oltre a una serie di eventi culturali. Attraverso quattro sale, la mostra si sofferma su alcuni aneddoti e sulle vicende più significative della città affacciata sul Garda durante gli anni Sessanta. Si inizia con alcune parole-chiave come «curiosità» e «collaborazione», che fanno da guida a una selezione di foto d’archivio, per restituire ai visitatori la vivacità del contesto storico di quegli anni. Si prosegue con alcuni dipinti del Gruppo Amici dell’Arte, che mettono in luce il particolare sentimento condiviso per il paesaggio. Un comune sentire che li spinge all’aperto, con cavalletto e colori a ritrarre gli scorci dell’Alto Garda, e in particolare del tennese. Tra gli Amici dell’Arte, incontriamo i lavori di Vittone, dei fratelli Pizzini, Mario Bettinazzi, Achille Dal Lago, Alberto Susat.
Le due sale conclusive sono invece interamente dedicate alla pittura di Bonat, e presentano una serie di opere selezionate a seguito del loro ritrovamento da parte della nipote. Molto forte è il legame dell’artista con l’acqua, ritratta non solo nella zona rivana: dal fiume Sarca, dominato dal Castello di Arco e colto tra gli accesi colori dell’autunno, a una veduta del torrente Cismon, a San Martino di Castrozza, fino alla laguna veneta. Ancora, il grigio azzurro delle montagne avvolte dalle nubi, che si rispecchiano nel lago e diversi scorci del paesaggio lacustre. Non manca il richiamo alla vita agreste, con una madre e una figlia che ritornano alla sera, gli abiti dello stesso marrone della natura in cui sono immerse, i visi stanchi al termine di una giornata di lavoro nei campi.