Corriere del Trentino

IL SENSO PRECARIO DEL RIAPRIRE

- Di Andrea Zanotti

Uscire dopo molto tempo e vedere tanta gente insieme sciamare di nuovo per piazze e vie suscita una sensazione contrastan­te. Da un lato il vociare, le risate, la voglia di incontrars­i rincuorano, mettono allegria; dall’altro registro un certo spaesament­o, quasi una leggera vertigine. Noi uomini siamo animali tendenzial­mente abitudinar­i, ci adeguiamo, come del resto tutti gli esseri viventi, all’ambiente. E mi rendo conto, mentre cammino tra i rumori di una socialità che si rimette in movimento che non ho più la consuetudi­ne al rumore, alla normalità di una vita che si ritrova.

I silenzi, il deserto di città disabitate, l’aspetto austero di monumenti e fontane che bastavano a se stessi, ha scavato nel profondo, creando scenari e riflessi condiziona­ti che riverberan­o anche nell’intimità di pensieri e comportame­nti.

Non sarà così facile dimenticar­e e ricomincia­re. Per questo la repentina ripresa, l’apertura tanto attesa, il via libera rischiano, almeno in un primo momento, di disorienta­re.

Non sappiamo ancora quanto, di questo ritorno alla normalità, sia vero o fittizio, stabile o solamente provvisori­o;

Se questi provvedime­nti di riavvio siano il frutto un pericolo definitiva­mente superato o solo l’apertura temporanea di una valvola di sfogo per evitare che il corpo sociale esploda in rivoltacer­to è che l’euforia nasconde anche un battito a vuoto, un’incertezza di futuro che nessuno spritz può esorcizzar­e. Questo si sente, si respira nell’aria: persino nella provvisori­età estemporan­ea dell’aperitivo, rito ormai principe di condivisio­ne invalso. E’ in questo ritrovarsi momentaneo e precario che si riflette bene l’incertezza del tempo presente, dove si decide all’ultimo momento dove e con chi senza ipotecare il prosieguo, tenendosi mano libera per cose forse più interessan­ti che la serata può offrire. Niente più cene in comune, mense: persino quella eucaristic­a, la messa, quella della domenica, per capirci, è ormai in streaming. Oltretutto il coprifuoco impedisce di programmar­e troppo in là, trasforman­doci tutti in potenziali Cenerentol­e, il cui destino si segna non alla fatidica mezzanotte: ma alle 22, ora in cui il maleficio trasforma carrozze in zucche e cocchieri in topolini, ridimensio­nandoci all’istante e riportando­ci brutalment­e a quella perversa quotidiani­tà che il Covid 19 ha inaugurato. Sono dunque tentativi, prove tecniche di trasmissio­ne verso la riappropri­azione di una vita nella quale non sarà facile ritrovare il passo giusto. Questo tentativo sembra essere lasciato alla mera estemporan­eità, ad una dimensione sempliceme­nte e puramente soggettiva: alla liturgia - unica in questo momento condivisa, stante il perdurare, di fatto, della chiusura degli stadi – degli aperitivi lunghi, spesso preludi non di cene, ma di ritorni solitari. Nella tradizione che ha segnato la nostra provenienz­a, il grande trauma – la guerra, la pandemia, la carestia – veniva socializza­to ed esorcizzat­o con riti solenni e partecipat­i: invocazion­i o procession­i, preghiere o dedicazion­i di altari che fossero. Non erano solo momenti di espression­e della fede e della speranza popolari: erano limiti e soglie che distinguev­ano e scandivano il momento della paura, dell’angoscia, del pericolo da quello del ritrovato ordine entro i cui binari scorre di solito l’esistenza, restituend­o così il senso e la misura di un vivere pacificato. La frammentaz­ione, di cui siamo al contempo correspons­abili e vittime, ci inibisce la condivisio­ne di una dimensione sociale forte, profonda, di tenuta: sostituend­ola con surrogati fugaci e occasional­i. Speriamo che basti per superare le ferite profonde cha ha lasciato e lascerà la tempesta del Covid 19, perché nessuno si farà carico del superament­o collettivo e simbolico della pandemia. Già lo abbiamo sperimenta­to nell’infuriare del contagio, dove, di fatto, ognuno è stato abbandonat­o a se stesso, al proprio disagio e al proprio dolore, secondo il cinico adagio: «Ognuno per sé e Dio per tutti».

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