LA MOVIDA VUOLE UNA RIFORMA
L’arrivo della bella stagione, con temperature più miti anche quando piove, e l’allentamento delle restrizioni dettate dall’emergenza pandemica in via di attenuazione, ma tutt’altro che archiviata per sempre, riaprono la vexata quaestio della movida cittadina. Con tre aggravanti: i giovani — imprigionati troppo a lungo, seppur per giusta causa — liberano un’energia repressa, dunque con potenza maggiore rispetto all’ordinario e con insofferenza a ulteriori limiti; i residenti, dopo aver gustato il piacere del silenzio serale e notturno innescato dal coprifuoco, trovano ancor più insopportabile il chiasso che minaccia il loro diritto al riposo; nonostante i dati del contagio in continuo miglioramento e il minor rischio degli incontri all’aria aperta, infine, il virus continua a circolare, perciò inquieta vedere assembramenti di ragazzi con molte mascherine abbassate quando non addirittura riposte in tasca. Il Covid-19 piombato tra di noi con rapida violenza ha imposto reazioni immediate, però il tempo dell’urgenza è ormai scaduto o quasi. È ora di delineare strategie ragionate, di lungo periodo, per gestire le conseguenze della rivoluzione che ci ha travolto. Se è stato giusto essere di manica larga nell’ampliamento dei dehors per consentire a bar e ristoranti di non soccombere, oltre che per ridare spazio a un minimo di socialità, adesso si deve governare il fenomeno e inserirlo in un’autentica riforma, urbanistica e non solo.
Premesso che la repressione è sempre l’ultima soluzione, va rilevato in primo luogo che la gestione dell’ordine pubblico non può più essere delegata agli imprenditori dei pubblici esercizi, come pochi giorni fa ha sentenziato il tribunale di Trento, assolvendo il proprietario di un bar che aveva fatto tutto il possibile per non arrecare disturbi ai vicini. Insomma, sono tenuti a rispettare la legge, ma non sta a loro pattugliare le vie e le piazze, men che meno possono impedire a qualcuno di portarsi la bottiglia da casa e di far gazzarra per strada. La turnistica dei vigili urbani va dunque ripensata e, se necessario, vanno restituiti ai compiti originari quanti sono destinati ad attività di ufficio e rafforzati gli organici. Occorre poi estendere le parti di città da dedicare all’animazione, anche attraverso limitazioni al traffico automobilistico, in modo da sparpagliare la movida in un’area più vasta al fine di ridurre le concentrazioni rumorose. Parallelamente bisogna definire un piano in modo che la concessione degli spazi pubblici sia razionale e non appaia arbitraria, negando a uno quanto si concede al suo concorrente. Tutto ciò, quasi sicuramente, non sarà sufficiente a ripristinare un equilibrio accettabile tra le istanze di chi ama divertirsi dopo il tramonto e quelle di chi, al calare delle tenebre, vuole godersi la calma domestica. Il sindaco di Trento, Franco Ianeselli, ha intelligentemente rilanciato l’idea di istituire un «sindaco della notte», figura creata con successo nel 2012 ad Amsterdam. Perché la vita notturna è pure un business: prima della pandemia, la capitale olandese attirava oltre cinque milioni di turisti amanti della «danza elettronica», con un volume d’affari stimato intorno ai 600 milioni di euro l’anno. Ovviamente non è un traguardo auspicabile per la nostra regione che, invece, ha le carte in regola per avvantaggiarsi notevolmente dalla crescita delle vacanze enogastronomiche. Il «nachtburgemeester», che può essere un’istituzione monocratica oppure una commissione ristretta, non sostituirebbe il primo cittadino eletto, ma lo aiuterebbe a individuare le varie esigenze e a ipotizzare come conciliarle. Non è né facile né indolore ripensare l’organizzazione urbana, tuttavia oggi questo appare un compito imposto dalla realtà e, al tempo stesso, un’opportunità di sviluppo sociale ed economico.