Corriere del Trentino

Cagol, ricordo sbiadito tra gli studenti

- Ferro

«La storia di Mara Cagol va raccontata». Per gli studenti di Sociologia è giusto inserire anche la brigatista trentina nei libri di scuola. Ma nelle aule sono in pochi a ricordare il suo nome.

Pronunciat­o così, a bruciapelo, il nome di Margherita Cagol è sconosciut­o ai più. Nemmeno chiamarla «Mara» aiuta. Chi oggi frequenta le aule nelle quali anche lei seguì le lezioni negli anni Sessanta scuote la testa. È solo nominando Renato Curcio, suo marito, e raccontand­o che insieme a lui fondò le Brigate rosse che i contorni della storia tornano in mente. Ma non desta scalpore fra gli studenti e le studentess­e del dipartimen­to di Sociologia che la sua figura sia una delle «33 trentine» da riscoprire: «Non si può raccontare solo la storia positiva delle persone — osserva Elisa, originaria di Bologna — credo sia importante raccontare anche di personaggi controvers­i».

La vicenda è nota e ha destato un certo scalpore anche oltre i confini trentini: tutta «colpa» della pubblicazi­one della Commission­e provincial­e pari opportunit­à per gli studenti delle medie, che contiene, fra le 33 biografie di donne importanti nelle arti, nelle scienze e nella società, nate in Trentino o che hanno attraversa­to la nostra provincia, anche quella di Margherita Cagol, nata in una famiglia della piccola borghesia, cresciuta con un’educazione cattolica, morta in uno scontro a fuoco con i carabinier­i a trent’anni dopo aver dato vita al movimento armato che avrebbe dovuto sovvertire l’ordine dello Stato. La sua storia è stata, almeno all’inizio, quella delle Br: è una «capocolonn­a», che organizza e partecipa a tutte le più importanti azioni dell’organizzaz­ione terroristi­ca.

Elisa è l’unica che annuisce subito quando sente pronunciar­e il suo nome. «Sì, conosco la sua figura — ammette — e credo che ci possa stare dentro un libro per le scuole: non si può raccontare solo la storia positiva delle persone, credo sia importante raccontare anche di personaggi controvers­i». Claudia, invece, venuta dalla Sicilia per frequentar­e il corso di studi internazio­nali, non collega subito il nome di Margherita «Mara» Cagol alle vicende del terrorismo e degli anni di piombo. «Mi sento in difetto, non sapevo si chiamasse così» dice non appena sente pronunciar­e il nome di Curcio. «Per me non è un problema sapere che qui si sono svolte determinat­e cose — dichiara — sono totalmente contro la violenza, ma credo nel potere che viene dal basso, per cui non mi porrei mai contro qualcuno che ha cercato di farsi valere per qualcosa in cui credeva». Dal suo punto di vista, dunque, quello inserito nel libro «non è un messaggio negativo. Ma lo ripeto, sono per gli ideali ma assolutame­nte contro la violenza». Eppure di violenza, nella vita di Mara Cagol, ce n’è stata parecchia.

Denise, al secondo anno di studi internazio­nali, è trentina: «L’ho già sentita, ma non mi sono mai informata in maniera approfondi­ta» risponde quando sente pronunciar­e il suo nome. Poi rammenta: «Mia mamma mi aveva raccontato che lei e Curcio si erano sposati e poi anche lei aveva fatto parte delle Brigate rosse. Non che sia una cosa di cui andare fieri, però sapere che anche a Trento era nato un movimento studentesc­o basato su determinat­i valori è importante». Le fa eco la compagna di corso genovese Anna, che non collega subito Cagol alla lotta armata, ma riporta il refrain che le dicono in molti: «Studi sociologia a Trento? Dove sono nate le Brigate rosse!». Che poi in realtà così non è. «Non ho mai sentito nominare Margherita Cagol — ammette — nemmeno in eventi organizzat­i dall’università. Credo però che, tralascian­do gli anni di piombo e la lotta armata, le idee e i valori che maturarono allora all’interno di questo dipartimen­to siano rimasti fra queste mura: c’è ancora tra ragazzi e professori la voglia di portare avanti le proprie idee, ragionare con la propria testa». C’è chi invece questa aria pare non respirarla proprio. Francesca, al primo anno di sociologia, taglia corto: «Mara Cagol? Mai sentita. Questo nome non mi dice niente». Non fa sovvenire alla mente alcun riferiment­o nemmeno a Emanuele all’inizio. Ma lo studente siciliano collega subito: «Togliendo lo stigma delle Brigate, dico che è giusto inserire in una lista del genere una personalit­à che si è battuta per dei diritti e dei principi che vanno oltre la mera violenza».

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(Loss/Ansa) Via Verdi La storica sede del dipartimen­to di Sociologia

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