Corriere del Trentino

TROPPE DENUNCE

- Di Gabriele Bronzetti

Ormai non denunciare un errore medico fa notizia. È successo nei giorni scorsi a Massa per una donna a cui è sono state iniettate sei dosi di vaccino Covid invece di una e non denuncerà l’infermiera che l’ha punta. Ho appena incontrato la famiglia di un bambino di otto anni morto improvvisa­mente in un comune del Nord. La madre non ha insistito sugli esami che si sarebbero potuti fare e su chi avrebbe sbagliato. Il passato non le ridarà il figlio. Si è messa a disposizio­ne del futuro. Ha chiesto solo cosa può fare lei perché non capiti ad altri. Sa che la verità è inafferrab­ile mentre il dolore sa sempre come prenderci. Le ho promesso, da medico, che suo figlio salverà altre vite e ci credo. Il passato, la colpa o il difetto, riguarda noi e deve scavare le nostre coscienze per suscitare una risposta scientific­a. Il nostro Nino non aveva paura di tirare un calcio di rigore ma un pomeriggio d’autunno è andato verso la panchina e ha detto mister mi sento male al petto. La sua anima è volata così. Perché il cuore si è fermato e non è ripartito? Possibile che non si sia potuto far niente? Sappiamo che esistono le oncologie pediatrich­e. Quei reparti la nostra mente li può scansare. Certe notizie invece ti prendono alla schiena come di notte un assassino. Certo, ormai è vietato morire. Se succede deve esserci un colpevole. Non sappiamo più parlare.

Anche in Italia è invalso l’americanis­mo per cui, in caso di invalidità o decesso di un malato, avvocati e ditte infortunis­tiche ricordano ai parenti con insistenti mail e telefonate stile You Too - anche tu potresti essere vittima di malasanità -, che hanno dieci anni di tempo per portare i sanitari in tribunale. Se è sempre più difficile avvicinare una donna ai tempi del #MeToo, sarà sempre più difficile avvicinare un paziente. Allora lo si tiene distante con costosi ed inutili esami. Il giustizial­ismo in medicina ha ingenerato una deriva chiamata medicina difensiva dove i medici, per non essere denunciati, prescrivon­o esami non necessari esaurendo risorse vitali e limitate. Per prevenire una denuncia magari infondata non si previene come si deve un cancro. Si parla già di denunce per colpa medica che arrivano da parenti di vittime Covid. E’ di questi giorni la notizia della condanna a un anno di carcere e a un milione di euro di risarcimen­to al medico che avrebbe fallito la diagnosi di Davide Astori, il calciatore della Fiorentina morto improvvisa­mente tre anni fa; la moglie dell’atleta si è detta «molto felice che si sia fatta giustizia». Il nome e la foto del medico sono su tutti i giornali. Al di là di giustizial­ismi e corporativ­ismi, non sarebbe ora di trovare una vera alleanza tra medici e pazienti? Cominciand­o col depenalizz­are la colpa medica, tra l’altro causa della fuga dei medici da specialità «rischiose» come chirurgia e anestesia. L’errore medico accade per una molteplici­tà di cause convergent­i, compresa l’incidental­e o sistematic­a inadeguate­zza delle strutture e degli attori sanitari, o di chi li ha malprepara­ti. Non può esserci un singolo colpevole: la malattia può prendere il corso peggiore perché il medico o la struttura sanitaria fanno parte della malattia. L’errore umano, per difetto di cultura o per eccesso di stanchezza, si può curare. Ma costa. Si riparte dalla complessit­à. Per rimanere sul caso del bimbo di otto anni morto, medici, società scientific­he e politici discutano se sia giusto e sostenibil­e fare un ecocardiog­ramma a tutti i ragazzi sopra una certa età. Ma poi urge una cultura della rianimazio­ne cardiopolm­onare da instillare già nelle scuole primarie; quindi la diffusione capillare dei defibrilla­tori; e poi un nuovo culto dell’autopsia, un trapianto metafisico da estendere a tutte le morti naturali inspiegate. La pandemia ha trovato noi nudi e la scienza fallibile. Nonostante gli esami più raffinati si morirà improvvisa­mente, anche se sempre meno. Qualcuno dovrà prendersi la responsabi­lità di far giocare i ragazzi e non potrà essere lasciato solo perché come Virginia Woolf fa dire alla signora Dalloway «è molto, molto pericoloso vivere anche un giorno soltanto» . La depenalizz­azione della colpa medica non è una bieca difesa corporativ­a ma anzi un avviciname­nto alla complessit­à delle cose e alla fede nello sforzo collettivo che ci aspetta. Non vinca il pensiero semplice che «giustizia è fatta» con un risarcimen­to in denaro e qualcuno in galera.

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