TROPPE DENUNCE
Ormai non denunciare un errore medico fa notizia. È successo nei giorni scorsi a Massa per una donna a cui è sono state iniettate sei dosi di vaccino Covid invece di una e non denuncerà l’infermiera che l’ha punta. Ho appena incontrato la famiglia di un bambino di otto anni morto improvvisamente in un comune del Nord. La madre non ha insistito sugli esami che si sarebbero potuti fare e su chi avrebbe sbagliato. Il passato non le ridarà il figlio. Si è messa a disposizione del futuro. Ha chiesto solo cosa può fare lei perché non capiti ad altri. Sa che la verità è inafferrabile mentre il dolore sa sempre come prenderci. Le ho promesso, da medico, che suo figlio salverà altre vite e ci credo. Il passato, la colpa o il difetto, riguarda noi e deve scavare le nostre coscienze per suscitare una risposta scientifica. Il nostro Nino non aveva paura di tirare un calcio di rigore ma un pomeriggio d’autunno è andato verso la panchina e ha detto mister mi sento male al petto. La sua anima è volata così. Perché il cuore si è fermato e non è ripartito? Possibile che non si sia potuto far niente? Sappiamo che esistono le oncologie pediatriche. Quei reparti la nostra mente li può scansare. Certe notizie invece ti prendono alla schiena come di notte un assassino. Certo, ormai è vietato morire. Se succede deve esserci un colpevole. Non sappiamo più parlare.
Anche in Italia è invalso l’americanismo per cui, in caso di invalidità o decesso di un malato, avvocati e ditte infortunistiche ricordano ai parenti con insistenti mail e telefonate stile You Too - anche tu potresti essere vittima di malasanità -, che hanno dieci anni di tempo per portare i sanitari in tribunale. Se è sempre più difficile avvicinare una donna ai tempi del #MeToo, sarà sempre più difficile avvicinare un paziente. Allora lo si tiene distante con costosi ed inutili esami. Il giustizialismo in medicina ha ingenerato una deriva chiamata medicina difensiva dove i medici, per non essere denunciati, prescrivono esami non necessari esaurendo risorse vitali e limitate. Per prevenire una denuncia magari infondata non si previene come si deve un cancro. Si parla già di denunce per colpa medica che arrivano da parenti di vittime Covid. E’ di questi giorni la notizia della condanna a un anno di carcere e a un milione di euro di risarcimento al medico che avrebbe fallito la diagnosi di Davide Astori, il calciatore della Fiorentina morto improvvisamente tre anni fa; la moglie dell’atleta si è detta «molto felice che si sia fatta giustizia». Il nome e la foto del medico sono su tutti i giornali. Al di là di giustizialismi e corporativismi, non sarebbe ora di trovare una vera alleanza tra medici e pazienti? Cominciando col depenalizzare la colpa medica, tra l’altro causa della fuga dei medici da specialità «rischiose» come chirurgia e anestesia. L’errore medico accade per una molteplicità di cause convergenti, compresa l’incidentale o sistematica inadeguatezza delle strutture e degli attori sanitari, o di chi li ha malpreparati. Non può esserci un singolo colpevole: la malattia può prendere il corso peggiore perché il medico o la struttura sanitaria fanno parte della malattia. L’errore umano, per difetto di cultura o per eccesso di stanchezza, si può curare. Ma costa. Si riparte dalla complessità. Per rimanere sul caso del bimbo di otto anni morto, medici, società scientifiche e politici discutano se sia giusto e sostenibile fare un ecocardiogramma a tutti i ragazzi sopra una certa età. Ma poi urge una cultura della rianimazione cardiopolmonare da instillare già nelle scuole primarie; quindi la diffusione capillare dei defibrillatori; e poi un nuovo culto dell’autopsia, un trapianto metafisico da estendere a tutte le morti naturali inspiegate. La pandemia ha trovato noi nudi e la scienza fallibile. Nonostante gli esami più raffinati si morirà improvvisamente, anche se sempre meno. Qualcuno dovrà prendersi la responsabilità di far giocare i ragazzi e non potrà essere lasciato solo perché come Virginia Woolf fa dire alla signora Dalloway «è molto, molto pericoloso vivere anche un giorno soltanto» . La depenalizzazione della colpa medica non è una bieca difesa corporativa ma anzi un avvicinamento alla complessità delle cose e alla fede nello sforzo collettivo che ci aspetta. Non vinca il pensiero semplice che «giustizia è fatta» con un risarcimento in denaro e qualcuno in galera.