GIOVANI, LA QUOTA GIUSTA
Quando parliamo di pari opportunità ci riferiamo alle donne, quasi che siano l’unica categoria a essere penalizzata. In realtà, sotto vari punti di vista, la questione investe anche i giovani, soprattutto in Italia. Un Paese per vecchi, un Paese che invecchia, dunque con un futuro grigio e non solo per il colore dei capelli. La crescita della popolazione favorisce l’aumento del Pil, ma da alcuni anni gli abitanti dello Stivale sono in diminuzione: da quasi trent’anni, il saldo tra nati e morti è negativo, però l’immigrazione ha «nascosto» il fenomeno. In un simile contesto, ci si aspetterebbe un’attenzione particolare a coltivare i nuovi talenti e a consentire loro di esprimersi, invece avviene esattamente il contrario. Molte ragazze e molti ragazzi scappano all’estero non perché rifiutano lavori umili (che infatti oltre frontiera accettano), bensì per non essere sfruttati con finti stage e soprattutto per avere la possibilità di avere una carriera basata esclusivamente sui principi della meritocrazia. Il quadro è noto, ogni tanto si mette in cantiere qualche progetto per sostenere l’occupazione giovanile e lo sviluppo professionale, ma nessuna svolta è all’orizzonte. Lorenzo Sassoli de Bianchi, vicepresidente della Federazione nazionale dei cavalieri del lavoro, ha deciso così di smuovere le acque: a settembre, da Bologna dove si terrà l’assemblea annuale dell’organizzazione, lancerà infatti un piano articolato che ha anticipato in un’intervista al Corriere nei giorni scorsi.
L’industriale che ha inventato la Valsoia in un sottoscala quando pochi pensavano all’alimentazione alternativa, parte dall’alto, chiedendo che per legge sia fissato un minimo del 20 per cento di under 40 nei consigli di amministrazione delle società quotate in Borsa. Oggi, secondo un’indagine svolta dalla Luiss Business School tra le principali spa di Piazza Affari, l’età media di un amministratore delegato è di 56,3 anni, quella del presidente addirittura di 62,5. Sotto i 40 anni non c’è nemmeno un ceo e solo cinque sono under 50. Certo, l’innalzamento dell’età media dei dirigenti è un fatto comune nelle nazioni avanzate, ma da noi è aggravato dal calo di opportunità per i giovani. Ecco perché l’idea di una riserva del 20% è ragionevole. Una sorta di «quota rosa»: quella prevista per le donne nei cda ha prodotto qualche timido risultato perfino ai piani elevati, ma soprattutto ha dimostrato quanto sia utile avere anche una prospettiva femminile nei board. Sassoli de Bianchi vuole poi un’azione straordinaria per riportare in Italia almeno mezzo milione di giovani espatriati, utilizzando ogni strumento possibile, a partire dalle politiche retributive incentivanti. Infine, considerando che «siamo all’ultimo posto in Europa per la diffusione delle digitals skills, con il 58% degli italiani che non possiede ancora un livello di competenze digitali di base», il cavaliere del lavoro suggerisce la creazione di un distretto informatico che sia un polo di attrazione per i giovani, stimolando pure le startup. La scommessa? Creare una Silicon Valley tricolore nel Sud, in posti dove ragazze e ragazzi «arrivino e si fermino volentieri». Insomma, quella delineata da Sassoli de Bianchi è una «Carta di Bologna» finalizzata a ridare fiducia a un Paese fiaccato non solo dalla pandemia, ma da una stagione troppo lunga dominata dalla gerontocrazia e dalla strenua difesa delle sacche di potere. Se non crediamo nei giovani, d’altronde, come possiamo guardare con ottimismo al domani?