Ateneo, il rettore svela il piano
Cibio a Povo, medicina al Not, palazzo Consolati alle facoltà cittadine. Rovereto, due studentati
Il Cibio si espanderà a Povo, mentre al Not ci sarà posto per gli anni clinici della scuola di Medicina: questi alcuni degli scenari immaginati dal rettore Deflorian per il futuro ateneo.
Dice di non avere il pallino dell’edilizia. Anche in virtù della sua precedente delega come prorettore tutti lo pensano legato al mondo delle imprese. Eppure al rettore dell’ateneo Flavio Deflorian le idee — e chiare — su come disegnare il futuro dell’ateneo non mancano: la scuola di medicina divisa tra la futura Povo 3, in collina, con il Cibio e la parte più clinica a valle, vicino al Not «per il quale dovremo aprire un dialogo con la Provincia per prevedere una variante». E Palazzo Consolati? «Spazi per i dipartimenti cittadini». Parliamo di «scenari, potenzialità ma vogliamo procedere con un disegno». E i tempi sono lunghi: «Garantiremo soluzioni tampone» assicura con lo sguardo a quei 20.000 studenti che vorrebbe tra Trento e Rovereto e che dal 2021 saranno in presenza al 100%, a costo di «trattare con la Provincia strumenti ad hoc diversi da quelli adottati in Italia».
Rettore, lei ha detto che vorrebbe raggiungere l’obiettivo di 20.ooo iscritti. Quest’anno come siamo messi guardando alle preiscrizioni?
«Sì, è una direzione di marcia, che non sarà raggiunta quest’anno e nemmeno il prossimo penso, perché la pandemia ha impattato anche sull’università e a livello nazionale i numeri sono in calo. Noi, stando ai primi dati, teniamo, non dovremmo calare, forse crescere un poco».
Più studenti significa ancora più bisogno di spazi, che però già mancano: un caso su tutti, quello più emblematico, il Cibio per il quale sono state ipotizzate molte destinazioni, da Rovereto all’Italcementi.
«È vero, abbiamo un problema serio di spazi, che va anche visto in positivo nel senso che è una crisi di crescita: cresce la qualità della ricerca, della didattica e gli iscritti e tutto questo ha fatto sì che gli spazi fossero insufficienti. Chiaramente si trova in condizioni più difficili chi è cresciuto di più. Il Cibio è triplicato dai tempi della sua allocazione con Bassi. Sono state fatte tante ipotesi, è vero, ma il dibattito interno ha sottolineato come valore aggiunto l’interazione con i dipartimenti di ingegneria industriale, fisica, matematica il Disi e anche Fbk, e quindi vedrebbe bene la collocazione del Cibio in un polo dove l’interazione con queste realtà fosse favorita. È uno scenario, non mi sento di garantirlo ma nemmeno di escluderlo. Di certo abbiamo la necessità di elaborare un piano edilizio che comporta un aumento di cubature».
Questo polo di cui parla potrebbe essere una sorta di Povo 3, che vada a occupare anche i terreni che avete acquistato a nord est del dipartimento di ingegneria civile e ambientale?
«Esatto. Il discorso è comunque più ampio. Prima di andarsene Collini aveva sviluppato una serie di suggestioni, che condivido, sulla connessione tra Povo e Mesiano, che prevedono anche un miglioramento dei collegamenti. C’è Povo Zero da ristrutturare, ci sono spazi per aumento di cubature anche negli edifici tra Povo e Mesiano».
E Villa Gherta rientra in questo ragionamento?
«È un immobile tutelato, non lo immagino per la didattica. Pensiamo piuttosto, di sfruttarla come uno di quegli spazi di connessione tra Povo e Mesiano, dove trovino posto luoghi ricreativi, come ad esempio un bar o altri servizi che consentano di vivere la collina».
Tornando al Cibio si è vociferato di una sua potenziale collocazione nei pressi del futuro Not.
«Non la vedo come l’ipotesi più probabile ma, ancora, non me la sento di escluderla. Mi spiego. Il Not è stato già progettato, ovvio però che esistendo ora la Scuola di medicina sia necessario ripensare al Not con spazi dedicati a quest’ultima, soprattutto per la parte finale. Bisogna capire se questo è compatibile con il progetto attuale, con una variante relativamente contenuta, o se sarà necessario immaginare un limitato aumento della cubature: dovremo interloquire con la Provincia. Che ci sia dunque spazio anche per il Cibio la vedo dura, quindi lo immagino più verosimile in collina con il biennio di Medicina»
E che succede a Palazzo Consolati?
«In questo scenario può diventare un importante polo di espansione per le esigenze della didattica della città: il problema degli spazi lo abbiamo anche a valle e a Rovereto. Quello che dovremo fare nei prossimi mesi e anni sarà certamente creare spazi e volumi indispensabili, cercando di dare però l’idea di un progetto urbanistico, con un disegno preciso».
L’ateneo è infatti stato accusato di procedere per aggiunte di pezzi sparsi.
«Questo è accaduto perché la crescita era così veloce che la progettazione non ci stava dietro: ora la crescita rallenta e noi cerchiamo di migliorare le nostre capacità di pianificazione, in modo che ciò che progettiamo oggi consenta all’ateneo di essere a posto per 25 anni».
I tempi però non saranno brevi: Povo 3 prima di 5 anni non la vedremo immagino.
«Diciamo che io non la inaugurerò (sorride). Siccome le soluzioni saranno disponibili non prima di 5 anni o più dovremmo mettere in campo delle soluzioni tampone, come costruzioni modulari: ma le due cose devono andare avanti insieme. Ognuno di noi è disposto a accettare soluzioni emergenziali se vede la soluzione definitiva».
Ex Cte: a Trento si dice che se aveste un progetto pronto gli spazi espositivi usati dall’Apt, anche in assenza della sede definitiva all’ex Italcementi, sarebbero spostati. Entro un anno partirete?
«Sì. Il progetto c’è. Se poi il Pnrr (piano nazionale di ripresa e resilienza, ndr) interrasse la funivia si aprirebbe uno spazio che non possiamo definire un vero e proprio campus, ma che darà respiro all’università».
E Piazzale Sanseverino, che è vostro dal 2002 e su cui il Comune riscuote gli incassi per i parcheggi potrebbe ospitare una nuova biblioteca?
«Una nuova biblioteca non credo, ma sarà anche questo al centro del prossimo dialogo con l’amministrazione comunale in modo da sfruttarlo nell’interesse della città e poi anche dell’università».
E per Rovereto cosa immagina?
«Qui gli spazi di sviluppo in termini urbanistici sono maggiori che a Trento: potremo potenziare dei corsi, come quello, per fare un esempio, delle Scienze motorie, e servono servizi per gli studenti. Chi studia a Rovereto non deve essere indotto a cercare casa a Trento perché più servi
"In presenza
I ragazzi devono tornare al 100%: garantiremo vaccini e salivari. Piazza Dante ci supporterà
"L’ospedale
Servono nuovi spazi per la parte clinica del nostro corso: discuteremo con la Provincia
ta».
Quindi si farà lo studentato all’ex Ariston?
«Dove non è deciso, ma se ne faranno forse anche due. E poi si dovrà ragionare su un potenziamento dei trasporti, anche qui con le amministrazioni»
E visto il messaggio che avete lanciato già l’anno prossimo avremo tutti gli studenti a caccia di casa?
«Lo ribadisco. E mi preoccupa che a livello nazionale se ne parli così poco, forse rinviando alla fine dello stato di emergenza al 31 luglio. Ma quella data è tardi: quindi fatte salve nuove ondate pericolose, torneremo alla presenza al 100%. E se sarà necessario la Provincia, in virtù dell’autonomia, ci ha garantito che ci supporterà con gli strumenti normativi necessari. Agli studenti non vaccinati garantiremo i test salivari ma è in corso un dialogo con l’Azienda sanitaria per poter offrire il vaccino o l’eventuale terza dose anche a chi vive fuori e frequenta qui».
Il Covid ha segnato anche il mondo del lavoro, cambiando paradigmi e spesso anche le professioni: cosa può fare l’ateneo?
«Con le associazioni di categoria potremo pensare a dei percorsi di formazione permanente: nelle crisi è cruciale che chi ha perso lavoro o lo ha visto mutare possa avere gli strumenti per aggiornarsi».
I dipartimenti scientifici drenano gran parte delle risorse del bilancio. Quelli umanistici rischiano una marginalizzazione?
«No, nel modo più assoluto. Semplicemente per come sono strutturati hanno esigenze finanziarie inferiori. Ma c’è una cosa vorrei mutasse in quelli scientifici».
Prego
«Vorrei che metà del mondo se ne accorgesse. Mi riferisco alle studentesse: l’unico motivo per cui fisica, informatica o ingegneria industriale vedono poche iscritte è una zavorra culturale che vorrei superata per sempre».