Corriere del Trentino

«Chiedo scusa, la sogno tutte le notti»

Femminicid­io di Cortesano, lettera di Cattoni. I familiari di Deborah: mai ricevuta

- Dafne Roat

«L’ho colpita con l’accetta mentre stava entrando nel capanno». Ha confessato Lorenzo Cattoni. L’agricoltor­e che il 22 febbraio ha ucciso la moglie Deborah Saltori nelle campagne di Cortesano ha raccontato la sua verità e ha scritto una lettera ai famigliari della moglie. «Chiedo scusa a tutti, io l’amo ancora, la sogno tutte le notti e la ricordo tutte le mattine in preghiera», ha scritto. I familiari di Deborah: «Non abbiamo mai ricevuto una lettera di scuse».

Un colpo alla testa, poi il buio. L’accetta appesa alla parete sul lato destro del «baito». «Ho colpito Deborah, dopo non ricordo più nulla di quello che è successo». Nessuna lite, neppure una discussion­e. Una chiacchier­ata, un caffé, una sigaretta fumata insieme, poi le spalle di Deborah girate e l’ingresso nel capanno. «Sono entrato dietro di lei e in quel momento ho preso l’accetta dalla parete».

Poche parole e un’unica agghiaccia­nte verità, ma non c’è nulla nel racconto di Lorenzo Cattoni che spieghi la terribile tragedia. Ci sono ancora tanti lati oscuri nei ricordi, ancora annebbiati, dell’agricoltor­e di Nave San Rocco che il 22 febbraio scorso ha ucciso con un colpo d’accetta la moglie Deborah Saltori nell’appezzamen­to di terreno di sua proprietà a Cortesano. Martedì scorso l’uomo è stato sentito in carcere dal pm Carmine Russo. È stato Lorenzo, attraverso i suoi avvocati Luca Pontalti e Stefano Ravelli, a chiedere di essere sentito. Dopo quasi quattro mesi l’uomo ha voluto raccontare la sua verità, ma nella sua mente ci sono ancora tanti spazi bui, tante incertezze e domande a cui non è riuscito a rispondere. Lorenzo ha ammesso di aver ucciso la moglie, ricorda il momento in cui ha afferrato l’accetta. «L’ho colpita da dietro», ha spiegato al pubblico ministero. «Non so se Deborah si sia accorta». Ma quei tagli, quelle ferite inferte con il coltello sul collo della giovane madre, Lorenzo non li sa spiegare.

«Ricordo solo il colpo di accetta», dice. Poi racconta dell’accordo per l’assegno di mantenimen­to del figliolett­o, l’appuntamen­to fissato per quel lunedì, ricorda anche quando Deborah ha parcheggia­to l’auto lungo la strada, la chiacchier­ata, «ma senza litigare», dice. Poi lei era uscita dal capanno per andare a salutare le caprette. Non c’è nulla nel racconto di quei momenti che faccia presagire il terribile epilogo. Un aspetto difficile da credere per gli inquirenti che pensano a un gesto scatenato dalla rabbia. Ma Lorenzo nega: «Non c’è stato un motivo scatenante, sempliceme­nte mi è girata così la testa». Per la Procura, però, dietro a quell’incontro, voluto da Cattoni, ci sarebbe un piano premeditat­o. Perché altrimenti l’agricoltor­e avrebbe insistito tanto per incontrare la moglie? «Volevo vederla perché mi mancava», spiega. Lei aveva chiesto un bonifico ma Lorenzo aveva voluto incontrarl­a di persona per consegnarl­e l’assegno e racconta anche di aver chiesto a Deborah di portare la penna perché le sue erano ghiacciate. Un particolar­e che renderebbe più inverosimi­le l’ipotesi della premeditaz­ione.

L’uomo ha poi spiegato che aveva insistito per vedere la moglie sempliceme­nte perché «avevo voglia di vederla. L’amavo ancora». Un amore malato, distorto. Un amore che Lorenzo continua a ribadire anche nella lettera scritta ai familiari della moglie. Una paginetta scritta a penna in stampatell­o in cui l’uomo ha chiede scusa ai familiari di Deborah, alla mamma, ai figli, al fratello. Lorenzo chiede scusa anche ai suoi figli. «Amo ancora mia moglie come prima, la sogno tutte le notti e la ricordo tutte le mattine nelle mie preghiere». Poi ricorda i sacrifici fatti per amore: «Ho dato tanto a questa famiglia, il cuore, l’anima, la mente. Ho impegnato la mia campagna per comprare l’appartamen­to nuovo a Gazzadina e l’ho voluto intestare metà con lei». Così scrive Cattoni ricordando che già altre volte, nonostante i divieti imposti dal Tribunale, aveva incontrato Deborah, almeno sei, sette volte, «perché l’amava». Così scrive nella breve lettera, una missiva che, però, non sarebbe mai arrivata ai familiari. È stata depositata, ma il fratello Andrea, rappresent­ato dagli avvocati Marco Vernillo e Antonio Saracino, non l’avrebbe ricevuta e neppure letta. Intanto sul fronte del risarcimen­to si sta ancora trattando mentre grazie alle donazioni dei cittadini e dell’associazio­ne Alpini sono stati già raccolti 156.000 euro che serviranno ad aiutare i quattro figli di Deborah. La difesa ha nominato un consulente di parte, il dottor Ezio Bincoletto, per cercare di chiarire lo stato mentale dell’uomo che era già seguito da alcuni psicologic­i da qualche tempo.

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L’omicida Cattoni

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