SERVE UN CAMBIO DI PASSO
La conclusione dell’anno scolastico, dopo una stagione tormentata, apre a una serie di riflessioni di non poco conto. In primo piano, il censimento degli effetti della pandemia sui processi di apprendimento di scolari e studenti, i pregi e i difetti dell’insegnamento a distanza, l’evidenza di disuguaglianze che sembravano superate, l’aumento — specialmente fra gli adolescenti — di forme di disagio inaspettate e faticose da curare. I motivi per fare un bilancio serio e progettare un futuro che non sia solo cura della post pandemia, di certo non mancano. La strada per una rinascita fiduciosa e autentica è però impervia e, a mio avviso, chi dovrebbe farsi carico di immaginare la ripresa non mi pare, in questo momento, avere idee chiare.
L’esempio più recente di una certa inadeguatezza è la vicenda dell’apertura estiva delle scuole dell’infanzia, ben raccontata anche sulle pagine di questo giornale. Andando oltre la stretta cronaca e misurando le ragioni dei protagonisti (giunta provinciale da una parte, sindacati di categoria dall’altra) la sensazione è quella di una partita preparata male da entrambe le parti. Rimanendo nella metafora sportiva, pare una partita di fine campionato, con due squadre che nulla hanno più da chiedere (non saranno promosse, non saranno retrocesse). Le schermaglie sono frutto di un hic et nunc che sarà presto dimenticato dalla semplicità del calendario che dopo luglio prevede agosto.
Manca la voglia di impegnarsi per costruire le premesse per dare risposte adeguate alla scuola che verrà. Per la verità, in questa legislatura non c’è mai stata una politica scolastica originale. È prevalsa l’azione amministrativa e la pandemia ha fatto il resto, sicuramente condizionando, ma anche facendo da alibi per giustificare immobilità e carenza di idee. Il Dipartimento Istruzione ha gestito, la nuova Sovrintendenza è una flebile e innocua presenza, l’assessore competente, Mirko Bisesti, smarrita la baldanza di quando era anche segretario della Lega è apparso alquanto evanescente.
I sindacati di categoria, a loro volta, rischiano di disperdere un’eredità ideale e contrattuale. Le loro energie sono spesso assorbite dalle contingenze e hanno smesso di farsi parte attiva in proposte politiche di ampio respiro, che aprano a prospettive di medio periodo, cercando un contributo necessario per dare continuità e concretezza al sistema scolastico, avendo a cuore la scuola pubblica e le sue finalità, mettendo a fuoco i cambiamenti sociali (organizzazione e frammentazione del lavoro, precarietà e incertezze, nuovi bisogni e nuove marginalità) che stanno ridisegnando i profili e le priorità sociali.
Infine le scuole dell’autonomia: in questi mesi hanno tenuto botta, ma bisognerà vedere quanto resta della vivacità di qualche anno fa. Mi pare che si debba registrare una sorta di normalizzazione che ha manomesso una necessaria dialettica all’interno del sistema, con un affievolimento di una collegialità intelligente che non tema le controversie e l’impegno.
L’assenza forzata dalle aule (nel caso delle scuole del secondo ciclo) e le troppe riunioni on line non hanno certo favorito dialogo e confronto e, soprattutto, hanno rubato spazio a una discussione libera sulle sorti della scuola.
Questi soggetti (giunta provinciale, ma anche Consiglio provinciale; sindacato; istituzioni scolastiche) hanno la responsabilità di un cambio di passo, individuando tempi e modo per rilanciare obiettivi e speranze già presenti fin dalla prima redazione della Legge provinciale n. 5/2006 sulla scuola.
Certo, la giunta dovrà riconoscere che non si governa con la presunzione e l’inesperienza, mentre il sindacato potrebbe pensare a un contratto veramente innovativo, che sia progetto e non solo norma. Le scuole dovrebbero fare scorta di coraggio, vincere la timidezza e fare rete non solo per applicare disposizioni o per gestire risorse ma soprattutto per far pesare le migliore intenzioni.